Un doveroso ringraziamento ai nostri "ispiratori"

Si sente a volte la necessità (direi quasi il dovere) di condividere le proprie esperienze, conoscenze e passioni.
Nell'ambito della scienza e della tecnica si è sempre ben consci della propria ignoranza, ma si avverte al tempo stesso l'importanza di comunicare quanto si conosce agli altri, soprattutto ai più giovani e meno esperti.
La cosa più importante poi non risiede in quelle poche schegge di esperienza che si riescono a condividere, quanto nella passione che ci ha permesso di acquisirle.
Trasmettere una scintilla di quella passione è tanto difficile quanto fondamentale.
Ognuno di noi ha avuto uno o più ispiratori che ci hanno istradato lungo il cammino di un "hobby" o di una professione.
Io dovrei ricordare l'amico conosciuto al mare che mi disegnò su un foglio di carta da lettera (che ancora conservo) lo schema e le istruzioni per costruire la mia prima radio "a galena" (in realtà utilizzava un bel diodo al germanio OA81 che ancora conservo gelosamente) e tanti, tanti altri, amici, conoscenti e colleghi, che hanno segnato la mia vita fornendomi idee ed ispirazione.

Non posso tuttavia non menzionare particolarmente un signore che, pur non avendolo io mai incontrato, ha influenzato più di tutti la mia vita e che rimane tuttora un riferimento ed un modello ideali: Guglielmo Marconi.

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

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lunedì 6 aprile 2015

L’ITSS “Majorana-Giorgi” di Genova in orbita con i sistemi di navigazione via satellite


Alunni e professori della classe VA di Elettronica e Telecomunicazioni
dell’ITSS “Majorana-Giorgi”di Genova

Il presente articolo nasce da una scommessa: riuscire a diffondere la cultura tecnica della navigazione via satellite (GPS, Glonass e Galileo) già a livello di istruzione secondaria.
Una scommessa forse difficile, ma assolutamente utile, se non necessaria, specialmente in un’Europa che sta investendo da anni miliardi di euro per lo sviluppo del sistema di navigazione globale Galileo.
Come sempre le buone idee si sviluppano in piccolo e con una certa dose di ingenuità, per poi prendere il volo e diventare professionalmente serie e feconde.
Gli studenti della classe V sezione A del corso di Elettronica e Telecomunicazioni (anno accademico 2013/2014) presso l’ Istituto Tecnico Superiore Statale (ITSS) “Majorana-Giorgi” avevano letto alcuni articoli di riviste specializzate sulla possibilità di realizzare, con un piccolo investimento economico, una stazione semiprofessionale di monitoraggio dei satelliti GNSS (GPS, GLONASS o Galileo), col duplice obiettivo di approfondire le tecniche della navigazione satellitare e di offrire un interessante ausilio didattico per università ed istituti tecnici professionali.
L’insegnante del laboratorio di elettronica e telecomunicazioni dell’istituto, prof. Primo Bartoli, aderì con entusiasmo all’idea, contattando l’ing. Marco Lisi del Direttorato Navigazione dell’ESA e, al tempo, Consigliere Speciale della Commissione Europea per le attività spaziali.
A questo punto le attività sono partite con un ritmo incalzante e con grande entusiasmo da parte degli studenti.
Il primo passo è stato quello di implementare una semplice stazione di monitoraggio dei segnali GNSS multicostellazione, basata su un ricevitore commerciale molto economico e sull’utilizzo di programmi software di processamento disponibili gratuitamente in rete. Poi gli studenti, non paghi, hanno deciso di sviluppare il loro stesso software, utilizzando il programma LabVIEW della National Instruments.
E’ doveroso menzionare il fatto che National Instruments ha fornito a titolo totalmente gratuito licenze per la piattaforma di sviluppo in LabVIEW nonchè corsi di formazione per tutti gli studenti interessati.
E’ stata anche avviata una collaborazione con la ditta francese M3Systems (M3S), specializzata nello sviluppo di ricevitori SDR (“Software Defined Radio”) per applicazioni GNSS. Attraverso la tecnologia SDR è possibile realizzare ricevitori molto flessibili, in grado di ricevere i differenti formati dei segnali trasmessi dalle varie costellazioni (GPS, Glonass, Galileo e Beidou).
Prima di descrivere in maggiore dettaglio l’attività tecnica svolta ed i risultati ottenuti, vale la pena di dare qualche informazione sull’istituto “Majorana-Giorgi”.



L' I.T.S.S Majorana – Giorgi, già istituto tecnico industriale, si suddivide in due plessi separati, uno in via Salvador Allende e l' altro in via Timavo a Genova. Attualmente l'istituto permette la formazione dei ragazzi nei settori: elettronica industriale, informatica, telecomunicazioni, elettrotecnica e meccanica; sono presenti corsi anche per tecnico commerciale ed il liceo delle scienze applicate.
In entrambe le sedi sono presenti numerosi laboratori muniti di strumentazione tecnica per permettere ai ragazzi di svolgere attività pratiche nel proprio settore.
Sin dal terzo anno di studi viene data l' opportunità di entrare in contatto con il mondo del lavoro e vengono pertanto organizzati stage in ogni settore, facendo così avvicinare i ragazzi anche ad aziende di rilevanza nazionale ed internazionale.
Nel corso degli studi, il numero di progetti e gli stage a cui si aderisce, sempre su base volontaria degli alunni, aumenta in modo da permettere agli studenti di migliorare le loro conoscenze e capacità e in modo da consentire loro di reperire materiale e documentazione che producano un arricchimento delle loro competenze tecniche.
Nell' ambito di queste attività sono stati, negli ultimi anni , attivati progetti relativi alle nuove tecnologie nel campo delle telecomunicazioni.
Ed è  proprio nel laboratorio di elettronica e telecomunicazioni che il nuovo filone di attività sui sistemi di navigazione via satellite si è sviluppato.
Gli studenti dovevano risolvere un problema apparentemente semplice, ma anche foriero di numerosi ed interessanti sviluppi: ricevere i dati più o meno grezzi forniti da un ricevitore GNSS in un formato e secondo un protocollo standard e convertirli in informazioni utili ad un utente, per esempio nella propria posizione su una mappa di qualsivoglia formato.
Un tipico ricevitore GNSS commerciale fornisce i propri dati secondo un formato ed un protocollo di comunicazione definito nello standard NMEA. I dati comprendono innanzi tutto la completa soluzione PVT (posizione, velocità e tempo), ma possono anche includere informazioni dettagliate sui satelliti in vista, ovvero il contenuto stesso dei messaggi di navigazione. I ricevitori GNSS semi-professionali o professionali tendono invece a fornire i dati di navigazione in formato grezzo, secondo lo standard RINEX. Ciò permette un post processamento più sofisticato dei dati stessi.
Limitandosi al caso di dati NMEA, gli studenti del prof. Bartoli dovevano risolvere il problema di acquisire i dati pre-processati, memorizzarli per eventuali elaborazioni statistiche, e convertirli in visualizzazioni utili ad un eventuale utente, per esempio, alla posizione in coordinate cartesiane o polari su una mappa.
La piattaforma di sviluppo software scelta per realizzare l’interfaccia fra ricevitore GNSS ed utente è stata  LabVIEW di National Instruments.
LabVIEW è un ambiente di sviluppo per applicazioni principalmente orientate all’acquisizione di dati, alla gestione di strumentazione elettronica e all’analisi ed elaborazione dei segnali.
L’ambiente di programmazione di tipo grafico ad oggetti (“object oriented language”) di LabVIEW  ha consentito di:
  • realizzare il programma, in forma di diagrammi a blocchi;
  • avere un pannello frontale per il comando necessario al settaggio del protocollo di comunicazione con il ricevitore GNSS;
visualizzare la posizione, non in termini di stringhe e dati NMEA, bensì all' interno di un grafico XY, il quale poi è facilmente sostituibile con mappe specifiche.
L’attività svolta, che è peraltro diventata una tesina di diploma per molti degli studenti del corso, ha pienamente confermato la validità didattica delle tematiche tecniche e tecnologiche relative alla navigazione via satellite, nonché la possibilità di affrontare tali tematiche con investimenti realistici, anche tenendo conto delle ristrette disponibilità dell’istruzione secondaria in Italia. E’ nelle intenzioni degli autori che questo esperimento didattico e, più in generale, di diffusione della cultura tecnologica fra i giovani, continui e si sviluppi anche nei futuri anni accademici.
Un particolare ringraziamento a Raffaele Fiengo e Massimo Rapini della National Instruments ed a Marc Pollina, fondatore e presidente di M3S, per il supporto generosamente offerto.
Particolari complimenti, inoltre, agli studenti Simone Burlando, Manuel Timuneri e Stefano Lavanna. I primi due, appena diplomati, hanno già trovato lavoro in aziende del settore elettronico nell’area di Genova, a conferma che la buona cultura è la migliore medicina contro la disoccupazione giovanile.


Il prof. Bartoli con gli studenti Stefano Lavanna, Manuel Timuneri e Simone Burlando, davanti alla stazione GNSS

mercoledì 8 gennaio 2014

Guida ai sistemi di navigazione via satellite

Please include attribution to linxtechnologies.com with this graphic.

Different Satellite Navigation Systems

giovedì 2 gennaio 2014

SWL, BCL e …GNSSL? Una stazione amatoriale di monitoraggio delle costellazioni di satelliti per la navigazione


Poiché il titolo potrebbe suonare un po’ criptico, è bene darne subito una spiegazione.
Molti dei lettori avranno cominciato la loro passione per la radio ascoltando le onde corte con il ricevitore casalingo. Si cominciava tipicamente ascoltando le stazioni di radiodiffusione italiane ed estere (“broadcast stations”), poi, magari con l’ausilio di un oscillatore di nota autocostruito (“Beat Frequency Oscillator”, BFO) si passava ad ascoltare i radioamatori e si sognava, si sognava…
Così, senza nemmeno saperlo, si era diventati BCL (“BroadCast Listener”) e SWL (“ShortWave Listener”), cioè ascoltatori di onde corte, e si poteva anche richiedere la licenza ufficiale di ascolto al ministero delle telecomunicazioni.
Oggi le cose sono un po’ cambiate: le stazioni di broadcasting su onde corte, almeno nel mondo occidentale (Europa e Stati Uniti), si fanno sempre più rare; sono onnipresenti le stazioni cinesi, in tutte le lingue e con potenze quali una volta si potevano permettere solo le stazioni del blocco sovietico, Radio Mosca per prima.
Rimangono tuttavia molti appassionati ascoltatori, quali ad esempio gli amici dell’Associazione italiana Radioascolto (AIR), che esiterei a classificare come meri nostalgici, in quanto a volte si cimentano in sperimentazioni davvero d’avanguardia, come la “Software Defined Radio” (SDR) o le modulazioni digitali (DRM e DAB).
Ma tornando al titolo, e proprio a proposito di sperimentazione e nuovi orizzonti, che vuol dire GNSSL?
GNSSL è un acronimo da me inventato che vuol dire “Global Navigation Satellite System Listener”, cioè, tradotto in vernacolo, “ascoltatore di sistemi di navigazione satellitari globali”.
Un GNSS è una costellazione di satelliti in orbita intorno alla Terra che permette l’individuazione esatta della propria posizione e permette quindi una navigazione affidabile e precisa.
Il più famoso GNSS è l’americano NAVSTAR GPS (“Global Positioning System”), ma non è l’unico: oggi esso è affiancato dal russo GLONASS e presto dai sistemi europeo, Galileo, e cinese, Compass (o Beidou). Anche India e Giappone stanno sviluppando i loro sistemi, ma con area di servizio regionale.
Inconsapevolmente, siamo già tutti, o quasi, dei GNSSL: infatti, chi di noi non ha un navigatore satellitare nella sua automobile e chi, magari senza saperlo, non possiede uno smartphone dotato di ricevitore “chip” per la navigazione via satellite (normalmente doppio standard: GPS e GLONASS)?
Lo scopo di questo articolo è tuttavia quello di dimostrare come, attraverso un piccolissimo investimento economico, sia possibile mettere su una stazione semiprofessionale di monitoraggio dei satelliti GPS (eventualmente anche GLONASS o Galileo), che ci permetterà di capire meglio le tecniche della navigazione satellitare. Tale stazione potrebbe anche costituire un interessante ausilio didattico per università ed istituti tecnici professionali.
Gli “ingredienti” necessari per cominciare la nostra attività di GNSSL sono veramente pochi: un’antenna con ricevitore integrato, un personal computer ed un applicativo software adatto allo scopo.
Il cuore di tutta la nostra “stazione” (anche se il termine può suonare un po’ pretenzioso) è una cosiddetta GPS “antenna” con interfaccia USB, come quella mostrata in figura 1.


Figura 1: GPS “antenna” con interfaccia USB

In realtà non si tratta di una semplice antenna, ma di un ricevitore GPS con tanto di demodulatore ed interfaccia dati (da cui l’uso dell’interfaccia USB) integrato in un’antenna microstriscia. Le dimensioni dell’antenna sono piccole, perché ricordo che stiamo lavorando in banda L.
Questo ricevitore/antenna GPS è facilmente acquistabile “on line”, per esempio su E-Bay,  al prezzo di 30-40 euro.
Le caratteristiche del ricevitore non sono critiche. E’ importante che l’interfaccia verso il PC sia USB e che lo standard di trasmissione dei dati sia NMEA (più precisamente: NMEA-0183).
Ci sono anche prodotti in grado di ricevere sia i segnali GPS sia quelli GLONASS. Sono più costosi e richiedono un software di elaborazione e presentazione dei dati compatibile con lo standard NMEA GLONASS.
Per quanto riguarda il montaggio del ricevitore/antenna, esso è lasciato all’immaginazione dell’utilizzatore. Bisogna tenere presente che il componente è previsto lavorare posto su un piano orizzontale, in modo da estendere, se possibile, il campo di vista da 0 a 90 gradi in elevazione e da 0 a 360 gradi in azimut. Al contrario dei satelliti per telecomunicazioni geostazionari, infatti, che appaiono fissi all’osservatore terrestre, i satelliti di navigazione, in orbita più bassa, non geostazionaria, si muovono velocemente rispetto all’osservatore, assumendo valori variabili di azimut ed elevazione. L’antenna tuttavia è di tipo omnidirezionale, quindi non è necessario alcun inseguimento dei satelliti.
Io ho montato la mia antenna con ricevitore integrato sul lato interno del vetro della finestra del mio ufficio, fissandola con del nastro adesivo. Per raggiungere più agevolmente il mio laptop, ho utilizzato una prolunga USB femmina – USB maschio.



Figure 2 e 3: l’antenna/ricevitore GPS montata sulla finestra del mio ufficio

Per quanto riguarda il personal computer, c’è poco da dire: un qualunque laptop o desktop dotato d’interfaccia USB ed operante con il sistema operativo richiesto (Windows) andrà normalmente bene.
Passiamo invece a considerare l’applicativo software. Sono scaricabili da Internet almeno tre differenti programmi, tutti gratuiti e senza limiti di tempo (“freeware”):

1.     VisualGPSView, prodotto che permette la visualizzazione grafica dei dati di navigazione, in grado di accettare lo standard NMEA 0183 sia per GPS che per GLONASS (scaricabile da http://www.visualgps.net/VisualGPSView/default.htm);
2.     VisualGPS, programma simile al precedente, ma in grado di riconoscere solo dati in formato GPS (scaricabile da http://www.visualgps.net/VisualGPS/default.htm);
3.     U-Center, programma dimostrativo sviluppato dalla compagnia svizzera U-Blox, con caratteristiche simili ai due precedenti (scaricabile da http://www.u-blox.com/en/evaluation-tools-a-software/u-center/u-center.html).

In questo articolo si darà una descrizione dettagliata del primo dei tre programmi, VisualGPSView, che mi sembra essere allo stesso tempo il più semplice da usare ed il più aggiornato, anche tenendo conto della possibilità di ricevere i segnali GLONASS.
La schermata principale (“Front panel Status”) di VisualGPSView è mostrata in figura 4.


Figura 4: schermata principale di VisualGPSView

In alto ed in orizzontale, il grafico a barre mostra i satelliti GPS in vista (nel caso specifico: nove). Ad ogni barra verticale è associato un numero in basso che identifica il satellite della costellazione sulla base del codice che sta trasmettendo (“satellite ID” o “Pseudo Random Number”, PRN”). I numeri all’interno delle singole barre sono invece i rapporti segnale/rumore, in dB, con i quali i segnali sono ricevuti. Il colore delle barre indica se il satellite è (blu) o no (grigio) usato per determinare la posizione. Nel nostro caso, dei nove satelliti in vista, solo cinque sono utilizzati per il “positioning”.
Il grafico in basso a destra mostra la posizione dei satelliti nel piano azimutale. La loro elevazione è tanto più alta quanto più essi sono vicini allo zenit dell’osservatore, corrispondente con il centro del grafico.
La tabella in basso a sinistra riassume infine i risultati del posizionamento, in termini di latitudine (convenzionalmente, i valori sono in gradi da 0 a 90, positivi se a nord dell’equatore), longitudine (valori da 0 a 180 gradi, positivi se ad est del meridiano di Greenwich) ed altezza sul livello del mare, in metri.
Le grandezze PDOP (“Position Diluition of Precision”), HDOP (“Horizontal Diluition of Precision”) e VDOP (“Vertical Diluition of Precision”), sono rappresentative della bontà della configurazione geometrica dei satelliti, dalla quale dipende l’accuratezza del posizionamento. Senza entrare in maggiori dettagli, ci basterà sapere che un PDOP di 1 è ideale, fra 1 e 2 è eccellente, fra 2 e 5 è buono.
Una piccola sfida per gli amici lettori: visto che conoscete adesso le coordinate geografiche del mio ufficio, vi sfido a scoprire dove lavoro (un suggerimento: se usate Google Earth potete quasi vedermi).
La seconda schermata, “Scatter Plot”, mostra l’evoluzione nel tempo dell’errore di posizionamento orizzontale, sul piano azimutale (figura 5).


Figura 5: grafico dell’errore orizzontale sul piano di azimuth

La terza schermata, “Position Plot”, mostra l’evoluzione nel tempo, misurato in termini di campioni del segnale processati dal ricevitore, di latitudine, longitudine ed altezza.
Le tre curve colorate indicano rispettivamente in verde i dati grezzi (“raw”), cioè non elaborati statisticamente; in bianco il valore medio ed in rosso il valore ottenuto con l’approssimazione ai minimi quadrati. Noterete che, mentre i valori grezzi possono variare anche di molto, ad esempio a causa di fluttuazioni del livello del segnale, i valori medi variano molto più dolcemente (figura 6).


Figura  6: evoluzione delle coordinate in funzione del tempo

L’ultima schermata è infine quella che ci mostra in tempo reale i famosi dati NMEA forniti dall’antenna/ricevitore (figura 7).


Figura 7: schermata dei dati NMEA scaricati in tempo reale

E’ importante che i dati NMEA ricevuti possono essere salvati in memoria ed essere utilizzati in un secondo momento, per esempio allo scopo di fare una presentazione o per analizzare in dettaglio una particolare situazione.
La stazioncina di ricezione dei segnali GNSS dovrebbe ovviamente essere solo lo spunto per approfondire il tema e per tentare nuove sperimentazioni, ad esempio utilizzando un’antenna esterna per aumentare il campo di visibilità (“Field Of View, FOV).
Ai lettori interessati consiglio di leggere i numerosi articoli già pubblicati su questa rivista (alcuni anche a mio nome) sul tema della navigazione satellitare e di fare qualche ricerca (la documentazione disponibile, anche in italiano, è immensa) su Internet. Qualcosa di utile potrete anche trovarla sul mio blog amatoriale (in italiano) “Space, radio and more” (http://spaceradioandmore.blogspot.com).
Da ultimo, ritengo importante segnalare l’interesse da parte di un istituto tecnico industriale ad un’attività didattica basata sulla semplice stazione descritta, con la speranza che le nuove giovani leve tecniche italiane siano in grado di sfruttare al meglio le opportunità professionali offerte dalle tecnologie della navigazione satellitare, in particolare dall’importante programma di sviluppo del GNSS europeo, Galileo.








martedì 16 aprile 2013

Da Marconi a Galileo: il sistema satellitare europeo di navigazione è in orbita


Da Marconi a Galileo?

Come “da Marconi a Galileo”, eventualmente “da Galileo a Marconi”, diranno i più eruditi e critici fra i lettori.

Lo sanno anche i bambini che Galileo, padre della scienza moderna, è vissuto quasi tre secoli prima di Marconi, padre della radio.

Il fatto è che in questo caso Marconi è proprio quello al quale tutti siamo affezionati, specialmente i radioamatori, mentre con Galileo, senza nulla togliere al grande scienziato italiano, intendiamo il sistema satellitare europeo per la navigazione, promosso dalla Commissione Europea e sviluppato dall’Agenzia Spaziale Europea.

L’arcano tuttavia non è ancora completamente svelato. Che c’entra Marconi con Galileo? Come presto vedremo, c’entra e molto, in quanto Marconi è stato il primo a immaginare e mettere in pratica l’uso delle onde radio a scopi di navigazione, cioè della cosiddetta radionavigazione.

Ma anticipiamo le belle notizie: dopo molti anni di ricerche e sviluppi tecnologici, alla fine dello scorso anno, più precisamente il 21 ottobre 2011, i primi due satelliti operativi della futura costellazione Galileo sono stati felicemente messi in orbita, dopo un lancio pressoché perfetto dalla base europea spaziale di Kourou, nella Guyana francese, in Sud-America (figura 1).




Figura 1: il lancio dei primi due satelliti della costellazione Galileo

La “navigazione cieca” di Marconi, lo Sputnik ed il Global Positioning System

La storia degli strumenti e dei metodi per determinare la propria posizione è vecchia quanto il mondo. Nei tempi antichissimi dei navigatori fenici e greci si usarono le stelle e la posizione del sole, poi si passò, intorno all’anno mille, alla bussola magnetica (forse già in precedenza inventata dai cinesi) ed a strumenti sofisticati come il sestante, uniti all’uso di orologi di precisione (cronometri marini).

Fino agli inizi del secolo scorso, tuttavia, le tecniche per la determinazione della posizione, in termini di latitudine e longitudine, furono essenzialmente basate sulla bussola magnetica e sulle osservazioni astronomiche, seppur con tecniche e strumenti molto avanzati.

E’ solo con l’invenzione della radio da parte del nostro Marconi che si cominciò a pensare all’utilizzo delle onde radio come ausilio alla navigazione. Il principio della radionavigazione (“Radio Direction Finder”, RDF), basato sull’utilizzo di una sorgente radio (radiofaro) per orientare la navigazione di un mezzo mobile (aereo o nave) attraverso l’uso di un’antenna direzionale, era stato inventato dalla Marconi Company nei primi anni del 1900.

Nel 1906 Marconi aveva chiesto un brevetto per un ricercatore di direzione ("direction finder"), basato sull'uso di antenne direzionali riceventi di tipo orizzontale disposte a stella. Successivamente i tecnici della Marconi perfezionarono il radiogoniometro concepito dal prof. Alessandro Artom fino ad impiantarne uno operativo nel 1912 a bordo del Mauritania.

Guglielmo Marconi, nel ciclo delle esperienze condotte insieme all'ing. Franklin nel 1921 impiegando onde metriche, aveva dato il primo avvio alla costruzione dei radiofari direzionali per navigazione marittima, i cui prototipi furono quelli girevoli di Inchkeith nell'estuario del Forth e di South Foreland nella Manica, funzionanti rispettivamente su onde di 4 e 6 metri.

Nel 1931 il sistema si era talmente diffuso da diventare obbligatorio per tutte le imbarcazioni di stazza superiore alle 5000 tonnellate.

Sempre nel 1931 Marconi aveva iniziato a sperimentare l’uso delle microonde, conducendo una serie di esperimenti che avrebbero poi portato nel 1932 al primo ponte radio a microonde per collegare telefonicamente la Città del Vaticano con la residenza estiva del Papa, Pio XI, a Castel Gandolfo.

Quasi contemporaneamente, iniziarono a Sestri Levante degli esperimenti che utilizzavano radiofari a microonde per dirigere la navigazione di imbarcazioni in mare.

La dimostrazione ufficiale del sistema di “navigazione cieca” fu condotta il 30 luglio del 1934, a bordo dello yacht Elettra, alla presenza di numerosi esperti e di rappresentanti inglesi dei Lloyd’s di Londra.

Il panfilo era pilotato da un capitano “neutrale”, il comandante inglese Austin Bates, della compagnia Cunard-White Star Line. Partendo da circa dieci miglia dalla costa, il panfilo si diresse verso Sestri Levante dove due boe erano ancorate nella baia alla distanza di 90 metri  e ad 800 metri dalla riva, simulando l’entrata di un porto (figura 2).
 


Figura 2: l’esperimento di navigazione cieca a Sestri Levante

Con gli esperimenti di Marconi si dimostravano le enormi possibilità derivanti dall’uso delle onde radio come ausilio alla navigazione. Per arrivare a concepire una costellazione di radiofari in orbita intorno alla terra bisogna però aspettare il 1957.

Il 4 ottobre 1957 un razzo russo si alzava rombando da una rampa di lancio nel cosmodromo di Baikonour, mettendo in orbita il primo satellite artificiale della Terra, lo Sputnik 1.

Numerosi scienziati ed ingegneri americani cominciarono a ricevere i segnali radio emessi dallo Sputnik, deducendo dalla variazione della frequenza Doppler utili informazioni circa la sua orbita.

Alcuni di questi scienziati pensarono che sfruttando l’effetto Doppler e conoscendo con precisione l’orbita del satellite, si sarebbe potuta ricavare la posizione del ricevitore a terra.

Da questa idea originale nacque il programma Navy Navigation Satellite System, con il suo primo satellite in orbita, Transit 1B, nel 1960. Da questo sistema fu in seguito sviluppato l’attuale sistema globale di navigazione americano, il Navstar Global Positioning System, comunemente noto come GPS. 
 

Il sistema di navigazione europeo Galileo

Galileo è il programma europeo per un sistema satellitare globale per la navigazione concepito per scopi ed applicazioni essenzialmente pacifici. Il sistema consiste di una costellazione di almeno 24 satelliti (con eventuali satelliti di riserva) ed una complessa infrastruttura terrena di supporto (figura 3).


                                            Figura 3: larchitettura del sistema Galileo
 
I satelliti della costellazione saranno disposti in modo uniforme su tre piani orbitali inclinati di 56 gradi rispetto all’Equatore ed orbiteranno a circa 23 mila chilometri d’altezza (figura 4).

 

Figura 4: la costellazione dei satelliti Galileo

Con questa configurazione è possibile garantire che ovunque nel mondo, incluse le regioni
polari, ci saranno almeno quattro satelliti in visibilità.
Ogni satellite (figura 4) ha una massa di circa 700 chilogrammi ed è progettato per operare 12 anni in orbita, sviluppando attraverso i pannelli solari una potenza di circa 1400 watt.



Figura 4: il satellite della costellazione Galileo

L’infrastruttura di terra o segmento terreno (“Ground Segment”) ha, fra i vari suoi compiti, quello essenziale di garantire l’accuratezza del sistema in termini di tempo e posizione. Fondamentale è il contributo degli orologi atomici a bordo, tenendo presente che un loro errore di un miliardesimo di secondo si traduce in un errore sulla determinazione della posizione di ben trenta centimetri (ricordiamo che la velocità delle onde elettromagnetiche è pari a 300 mila chilometri al secondo, cioè 30 miliardi di centimetri al secondo).

L'infrastruttura di terra include stazioni di monitoraggio sparse in tutto il mondo, due centri di controllo (figura 5), stazioni di uplink per aggiornare i dati del messaggio di navigazione generato a bordo dei satelliti, e stazioni TT&C (Telemetria, Tracking e Comando).



Figura 5: il centro di controllo Galileo della Telespazio al Fucino


Come funziona un sistema di navigazione satellitare?

Pensiamo ai satelliti per la navigazione come dei fari che emettono radioonde (i “radiofrequency beacons” utilizzati da Marconi per i suoi esperimenti). Così come i fari marittimi venivano costruiti in posizioni elevate, in modo da poter essere maggiormente visibili ai naviganti, i nostri satelliti, posti nello spazio, sono visibili da vaste regioni sulla Terra.

Il segnale trasmesso da ciascun satellite è una microonda modulata, contenente il tempo al quale il segnale è stato trasmesso e la posizione orbitale del satellite.

Poichè la velocità della luce è conosciuta, il tempo impiegato da un segnale per raggiungere un ricevitore può essere usato per calcolare la distanza del ricevitore stesso dal satellite.

Come già detto, gli orologi atomici a bordo dei satelliti Galileo sono accurati al nanosecondo (cioè al miliardesimo di secondo), quindi questa distanza può essere determinata molto accuratamente.

Combinando le misure derivate da molti satelliti contemporaneamente, è possibile determinare la propria posizione nello spazio, con un’accuratezza inferiore al metro.

Maggiore è il numero di satelliti in visibilità, migliore l’accuratezza, ma un numero minimo di quattro satelliti è necessario per ricavare la propria posizione: tre sono usati per “triangolare” (per essere precisi, più che di una “triangolazione” si tratta di una “trilaterazione”) longitudine, latitudine ed altezza sul livello del mare del ricevitore, il quarto per determinare lo scarto temporale fra l’orologio preciso a bordo dei satelliti e quello, meno preciso, integrato nel ricevitore (figura 6).



Figura 6: il concetto di “trilaterazione” da satelliti in orbita

La scelta della costellazione (numero di satelliti, numero di piani orbitali, diametro ed inclinazione dell’orbita) è appunto orientata a massimizzare il numero di satelliti in vista da ogni punto della Terra, garantendone almeno quattro.

 
Ma che c’entra Galileo?

Prima di concludere, dobbiamo ancora spiegare come mai il sistema satellitare europeo di navigazione è stato chiamato Galileo.

Abbiamo già accennato all’estrema difficoltà sperimentata per molti secoli nella determinazione della posizione in mare aperto.

Nel 1610 (quindi ben prima dell’invenzione del cronometro marino da parte di John Harrison, avvenuta nel 1773), Galileo Galilei scoprì per mezzo del telescopio le prime quattro lune di Giove. Osservandone il movimento, si rese anche conto che esse costituivano una sorta di orologio molto preciso, visibile ovunque sulla Terra, e che attraverso la loro osservazione si sarebbe potuta calcolare la longitudine con elevata accuratezza.
 
Anche Galileo può quindi essere considerato uno dei padri fondatori della scienza della navigazione ed un precursore dei moderni sistemi oggi disponibili.


venerdì 5 ottobre 2012

Spazio, la Nasa registra ''la voce della Terra''

La Terra 'canta' una canzone, sotto forma d'onde radio, e per la prima volta è stato possibile registrarla. A 'incidere' la voce del pianeta sono state due sonde della Nasa in missione nelle fasce di Van Allen, a circa 20mila chilometri dalla superficie terrestre.

venerdì 6 gennaio 2012

Introduzione alle reti neurali ed alla bioingegneria del cervello


Nel 1963 lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke, famoso tra l’altro per aver ispirato il film “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrik, pubblicò un racconto breve intitolato “Chiamata per l’homo sapiens” (“Dial F for Frankstein”, nella versione originale inglese). In questo scritto Clarke paventava, con intuizione quasi visionaria, un non lontano futuro nel quale per la prima volta tutti i calcolatori del mondo sarebbero stati connessi tra loro attraverso la rete telefonica; si sarebbe così venuta a creare un’enorme mente artificiale planetaria, che non avrebbe tardato a dare dimostrazione dei suoi poteri.
L’incubo futuristico di Clarke si è realizzato ai nostri giorni, anche se in forme e modalità imprevedibili, trascendenti anche la più fervida immaginazione.
Internet, familiarmente chiamata “the Net”, è oggi la più grande rete di computer al mondo. Una rete di computer è essenzialmente costituita di un numero, più o meno elevato, di calcolatori di medie/grandi dimensioni, connessi fra loro in qualche modo (ad esempio, via linee telefoniche terrestri, o fibre ottiche, o satelliti). Di fatto, Internet non è proprio una rete, ma una rete di reti, che scambiano informazioni senza ostacoli.
Nonostante la quasi fantascientifica proliferazione di Internet, il cervello umano rimane tuttavia il più complesso sistema di elaborazione delle informazioni esistente nell’universo e può essere esso stesso considerato come un’enorme rete neurale. Per avere un’idea della complessità di questa rete, si pensi che i suoi nodi sono costituiti dai circa 100 miliardi di neuroni che formano il cervello. Ciascun neurone è peraltro collegato a sua volta a decine di migliaia di altri neuroni, cosicché esistono milioni di miliardi di connessioni.

Neuroni e reti neurali

Il componente base dei sistemi nervosi degli esseri viventi è il neurone. Esso può essere paragonato a quello che la porta logica elementare o la cella elementare di memoria rappresentano in un calcolatore elettronico. L’analogia è ancora più stretta se si considera che, così come in un calcolatore, i neuroni si scambiano informazioni attraverso impulsi elettrici. Il fatto che le connessioni nervose siano basate su fenomeni elettrici è noto peraltro sin dal diciottesimo secolo. Tutti infatti ricorderanno (reminiscenze dei tempi della scuola) l’esperimento di Luigi Galvani, il quale notò che le zampe di una rana si contraevano quando venivano collegate ad una pila accidentale, fatta di metalli diversi.
Il neurone (figura 1), o cellula nervosa elementare, è costituito da quattro parti principali: il corpo della cellula, l’assone (attraverso il quale passano i messaggi accumulati a livello del corpo della cellula), i dendriti (con i quali si stabiliscono connessioni sinaptiche con altre cellule) e le sinapsi (mediante le quali il neurone comunica con le altre cellule nervose).


Figura 1: neurone biologico e sue parti costituenti

Il corpo della cellula ha le dimensioni di circa 10 micron (cioè 10 milionesimi di metro) ed è a sua volta costituito da un nucleo centrale circondato da protoplasma e racchiuso da una membrana. Da questa si dipartono i dendriti, fibre sottili ed estremamente ramificate, ed originano uno o più assoni, prolungamenti lunghi e sottili, la cui lunghezza varia da una frazione di millimetro fino ad oltre un metro.
Un neurone opera ricevendo segnali da altri neuroni attraverso le sinapsi. Ogni sinapsi non è altro che una sottile intercapedine fra l’assone di un neurone ed il dendrite di un altro, attraverso la quale gli impulsi elettrici vengono trasmessi attraverso un processo elettrochimico.
La combinazione di questi segnali, al di sopra di una certa soglia o livello di attivazione, porta il neurone a “sparare”, cioè ad inviare un segnale agli altri neuroni connessi ad esso. Alcuni dei segnali ricevuti da un neurone agiscono come eccitatori, altri come inibitori. E’ a questo punto già abbastanza evidente come l’analogia tra cervello umano (o più generalmente animale) e calcolatore elettronico sia solo lontanamente appropriata. Si pensi che nel cervello umano ci sono approssimativamente cento miliardi (100.000.000.000) di neuroni, ciascuno connesso a qualche migliaio di altri. In totale la rete neurale del cervello è costituita da oltre un miliardo di miliardi di connessioni (1.000.000.000.000.000.000)! Se si considera che il cervello di un adulto umano pesa da 1300 a 1400 grammi, è evidente che esso costituisce una macchina di calcolo e di commutazione di gran lunga più complessa e più miniaturizzata di quelle realizzabili con le attuali tecnologie elettroniche.

Modello di neurone artificiale

Il comportamento dei neuroni è estremamente complesso e lungi dall’essere completamento compreso. Per i nostri fini è più che sufficiente fare riferimento ad un modello semplificato del neurone, sviluppato già nel 1943 da McCulloch e Pitts (figura 2).


Figura 2: modello di McCulloch e Pitts

Il modello di McCulloch-Pitts è basato su cinque assunzioni fondamentali:

1. il neurone è un dispositivo binario, nel senso che può trovarsi in soli due possibili stati: “eccitato” o “non eccitato”;
2. ogni neurone ha una soglia fissa di eccitazione, oltre la quale esso cambia di stato e “spara”, cioè manda un impulso elettrico lungo l’assone;
3. lo stato di eccitazione dipende da impulsi ricevuti da sinapsi eccitatorie, che in prima approssimazione possono assumersi tutte con pesi identici (in realtà le sinapsi più frequentemente eccitate tendono a prevalere rispetto alle altre);
4. lo stato di eccitazione dipende anche dagli impulsi ricevuti da sinapsi inibitorie (se una di esse è attiva, il neurone non può attivarsi);
5. c’è un tempo finito d’integrazione degli impulsi in ingresso, durante il quale il neurone calcola il suo stato (azione d’integrazione a breve termine delle varie eccitazioni).

Dal modello del neurone appena descritto si comprende come nel sistema nervoso coesistono due differenti tipi di trattamento dell’informazione: un’elaborazione analogica all’interno delle cellule nervose ed una trasmissione essenzialmente digitale tra le cellule stesse.
Gli impulsi nervosi, trasmessi attraverso gli assoni alle altre cellule nervose, viaggiano con velocità che, a seconda del tipo di neurone, passano da 0,5 metri/secondo a 120 metri/secondo. Si tratta di velocità rispettabili, ma molto inferiori alla velocità di trasmissione di un impulso elettrico in un conduttore metallico, che è prossima a quella della luce. Ciò spiega il perché di alcuni limiti fisici del nostro corpo, quale il tempo di risposta di un guidatore d’automobile nel premere il pedale del freno.

Reti neurali artificiali

Una rete neurale è un sistema che vuole in qualche modo riprodurre il comportamento della mente umana. Analogamente a quanto avviene nel nostro cervello, essa si basa su componenti elementari hardware o, più frequentemente, software chiamati celle neurali o neuroni artificiali. Un neurone artificiale è in realtà molto più semplice di un neurone biologico.
Ciascuna cella è collegata ad alcune delle celle adiacenti attraverso connessioni più o meno forti, a seconda dei coefficienti (o “pesi”) ad esse associati. Il processo di apprendimento è per l’appunto ottenuto aggiustando questi coefficienti in modo che la rete complessiva fornisca l’uscita (o le uscite) corrette.
La figura 3 mostra l’architettura semplificata di una tipica rete neurale. Ogni nodo della rete è di fatto l’equivalente di un neurone cerebrale, con i suoi ingressi, le sue uscite e la sua legge di eccitazione.


Figura 3: architettura di una rete neurale artificiale

Perché si usano le reti neurali?

Data la loro capacità di derivare risultati significativi partendo da dati complessi o imprecisi, le reti neurali trovano applicazione per riconoscere pattern o scoprire tendenze che altrimenti sarebbero troppo complicate per la mente umana o per altre tecniche cibernetiche. Un computer neurale può essere pensato come un sistema esperto che, oltre ad essere in grado di interpretare in breve tempo informazioni complesse, è anche capace di apprendere dall’esperienza, affinando sempre più la sua già specializzata capacità.
Le reti neurali hanno in realtà un approccio alla risoluzione dei problemi che è completamente differente da quello dei computer tradizionali.
I computer tradizionali hanno un approccio algoritmico, cioè essi seguono una serie di istruzioni per risolvere un problema. Di fatto la sequenza di istruzioni è basata sulla nostra conoscenza “a priori” del problema. Si potrebbe altrimenti dire che un computer tradizionale risolve solo i problemi che noi stessi già sappiamo come affrontare e risolvere.
Per poter parlare di intelligenza artificiale, si dovrebbe però avere computer che sanno cavarsela anche di fronte a nuovi problemi, imparando dall’esperienza accumulata.
Nei computer neurali piuttosto che un’unità centralizzata di elaborazione (la CPU), che esegue istruzioni in forma sequenziale, si ha una rete con un numero molto alto di elementi di processamento elementari (neuroni artificiali, anche detti “percettroni”), che sono fortemente interconnessi e lavorano in parallelo alla risoluzione di uno specifico problema. Continuando l’analogia con il cervello umano, un computer neurale non può essere programmato in modo convenzionale, ma gli deve essere insegnato ciò che deve fare attraverso lo “studio” di esempi, che devono essere scelti molto accuratamente. I risultati possono essere sorprendenti, ma al contempo spesso del tutto imprevedibili.
Nella realtà pratica, i due sistemi di elaborazione, convenzionale e neurale, si integrano a vicenda, piuttosto che farsi competizione.
Le reti neurali trovano oggi applicazione in un’ampia serie di campi, dalla medicina alla simulazione di sistemi economici complessi. Particolarmente note ed efficaci sono le applicazioni riguardanti il riconoscimento dei caratteri calligrafici e delle immagini, utilizzate quest’ultime nei più sofisticati sistemi di sorveglianza elettronica.
La ricerca sulle reti neurali artificiali sta compiendo passi da gigante. Ne è un esempio il circuito integrato “neuromorfico” (cioè che simula il comportamento della corteccia cerebrale) sviluppato dai ricercatori del mitico Massachusetts Institute of Technology (MIT) e della Lucent Technologies (figura 4).


Figura 4: circuito integrato “neuromorfico”

Anche questo circuito sarà impiegato in sistemi di riconoscimento d’immagini “a prima vista” da utilizzare, fra l’altro, nella realizzazione di futuri robot intelligenti.

Alcuni semplici modelli circuitali del neurone

La simulazione del funzionamento di una cellula nervosa non deve essere pensata come un argomento riservato alla ricerca universitaria o ad applicazioni esclusivamente professionali.
In realtà è possibile costruire dei semplici modelli circuitali del neurone, dei veri e propri neuroni artificiali o bionici, con pochi e semplici componenti elettronici, alla portata di tutti gli sperimentatori dilettanti.
Il primo semplicissimo circuito è quello mostrato in figura 5. Esso simula un neurone avente un solo ingresso (dendrite) ed una sola uscita (assone). I componenti R1 e C1 costituiscono un circuito integratore, i cui valori determinano il tempo di propagazione degli impulsi in ingresso attraverso la rete nervosa. La porta inverter può essere derivata da un integrato digitale 7414 o 74HC14.

Figura 5

Un circuito più complesso è quello mostrato in figura 6, dove un amplificatore operazionale (un comunissimo LM741), utilizzato come comparatore, riceve stimoli da vari ingressi, simulati dai pulsanti A, B e C. I potenziometri associati agli ingressi permettono di variare i “pesi” ad essi associati. Un diodo LED in uscita segnala l’eccitazione (o “sparo”) del neurone artificiale.

Figura 6

Un terzo circuito (figura 7), da me progettato, utilizza un comunissimo timer integrato NE 555 per realizzare buona parte delle caratteristiche di un neurone biologico precedentemente elencate, cioè:

• la possibilità di sommare nello spazio (ingressi multipli) e nel tempo (funzione integratrice) impulsi asincroni con azione eccitatrice o inibitrice;
• la presenza di un circuito a soglia;
• la generazione di un impulso in uscita in corrispondenza al superamento della soglia.


Figura 7: schema elettrico del neurone bionico

Due parole di descrizione sul funzionamento del circuito. I pulsanti (normalmente aperti) collegati al positivo dell’alimentazione fungono da ingressi eccitatori. Quelli collegati alla massa del circuito svolgono la funzione opposta, cioè simulano gli impulsi inibitori. Il LED giallo è normalmente acceso ed indica lo stato di quiete del neurone. Quando la soglia di “sparo” viene raggiunta, il LED giallo si spegne e si accende invece, per pochi secondi, quello rosso, che simula l’impulso elettrico verso l’assone.
Il valore dei componenti non è critico: sperimentate pure con tranquillità, è difficile fare danni.
Questo semplice circuito costituisce una buona modellizzazione elettrica della cellula neurale, utile per fini didattici e non.
Lascio alla creatività dei lettori il gusto di sperimentare altre applicazioni del circuito presentato, ad esempio per simulare una rete di connessioni neurali, oppure per realizzare antifurto “intelligenti”, capaci cioè d’integrare gli stimoli provenienti da vari sensori.

sabato 22 ottobre 2011

Galileo è in orbita!

21 ottobre 2011: i primi due satelliti della costellazione Galileo vengono messi in orbita dal centro spaziale di Kourou, nella Guiana francese.

giovedì 6 ottobre 2011

"Stay Hungry. Stay Foolish"



Il discorso di Steve Jobs ai neo-laureati dell'università di Stanford il 12 giugno 2005.

"Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia è sull’unire i puntini.


Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente. Allora, perché ho mollato?

E’ cominciato tutto prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva con determinazione che avrei dovuto essere adottato da laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però quando arrivai io loro decisero all’ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una bambina. Così quelli che poi sono diventati i miei genitori adottivi e che erano in lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete voi?” Loro risposero: “Certamente”. Più tardi mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata al college e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accetto di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.

Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta la loro vita. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo che mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a capitare nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio Hare Krishna: l’unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.

Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la miglior formazione del Paese relativamente alla calligrafia. Attraverso tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai dei caratteri serif e san serif, della differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, di che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era artistico, bello, storico e io ne fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare una applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i persona computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all’epoca in cui ero al college era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.

Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita.



La mia seconda storia è a proposito dell’amore e della perdita

Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Woz e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in 10 anni Apple è cresciuta da un’azienda con noi due e un garage in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L’anno prima avevamo appena realizzato la nostra migliore creazione – il Macintosh – e io avevo appena compiuto 30 anni, e in quel momento sono stato licenziato. Come si fa a venir licenziati dall’azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il Board dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa cosa.

Non ho saputo davvero cosa fare per alcun imesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me – come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L’evolvere degli eventi con Apple non avevano cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.

Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creatvi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT e poi un’altra azienda, chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più di successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E Laurene e io abbiamo una meravigliosa famiglia.

Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. E’ stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realimente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate.

La mia terza storia è a proposito della morte

Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.

Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.

Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi “addio”.

Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie – che era là – mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento chirurgico e adesso sto bene.

Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci passato attraverso posso parlarvi adesso con un po’ più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi:

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della Vita. E’ l’agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità.

Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. E’ stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo tocco poetico. E’ stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fato con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. E’ stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: “Stay Hungry. Stay Foolish.”, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi.

Stay Hungry. Stay Foolish.

Grazie a tutti."