Sessantatre anni fa, Arthur C. Clarke, un allora oscuro tecnico radar della RAF, membro della British Interplanetary Society (un’associazione di sognatori appassionati di fantascienza e di voli spaziali), inviò all’editore della rivista inglese Wireless World una lettera intitolata “Peacetime Uses for V2” (“Usi pacifici della V2”). Era il 1945 e l’Inghilterra era appena uscita dal secondo conflitto mondiale, durante il quale i missili tedeschi V2 avevano costituito l’incubo delle popolazioni civili. La lettera anticipava in modo semplice e chiaro la possibilità di utilizzare la tecnologia missilistica per mettere satelliti in orbita intorno alla Terra, già preconizzando satelliti in orbita geostazionaria per applicazioni di telecomunicazione:
“ Vorrei concludere menzionando una possibilità per un futuro più remoto (forse fra cinquanta anni). Un satellite artificiale alla corretta distanza dalla Terra compierebbe una rivoluzione ogni 24 ore, rimarrebbe cioè stazionario sopra la stessa posizione ed in grado di coprire quasi metà della superficie terrestre. Tre stazioni ripetitrici a bordo di rispettivi satellite, spaziate di 120 gradi sulla corretta orbita, potrebbero quindi distribuire televisione e comunicazioni a frequenze microonde all’intero pianeta.”
Queste poche righe possono oggi sembrarci ovvie e banali. Vale la pena riflettere, tuttavia, sul fatto che esse furono scritte tredici anni prima del lancio del primo satellite artificiale, Sputnik 1.
In seguito Clarke scrisse un articolo molto più dettagliato che intitolò “The Future of World Communications”. L’editore di Wireless World lo pubblicò nel numero di ottobre 1945 cambiandone il titolo in “Extra-Terrestrial Relays”. Tutto il resto, si potrebbe dire, è storia. Ai nostri giorni, ci sono più di 300 satelliti operativi in orbita geostazionaria ed i loro servizi pervadono la nostra vita quotidiana, dalle telecomunicazioni digitali alle previsioni meteorologiche ed alle trasmissioni televisive.
C’è quanto basta per rendere un uomo famoso ed iscriverlo nel libro della Storia. Arthur C. Clarke, tuttavia, oltre a tante opere letterarie e di divulgazione scientifica, rimarrà anche famoso per averci regalato, insieme ad un altro genio, il regista Stanley Kubrik, un sogno sul futuro dell’umanità che fa ormai parte del nostro immaginario collettivo: quello descritto nel film “2001: odissea nello spazio” (figura 1).
“ Vorrei concludere menzionando una possibilità per un futuro più remoto (forse fra cinquanta anni). Un satellite artificiale alla corretta distanza dalla Terra compierebbe una rivoluzione ogni 24 ore, rimarrebbe cioè stazionario sopra la stessa posizione ed in grado di coprire quasi metà della superficie terrestre. Tre stazioni ripetitrici a bordo di rispettivi satellite, spaziate di 120 gradi sulla corretta orbita, potrebbero quindi distribuire televisione e comunicazioni a frequenze microonde all’intero pianeta.”
Queste poche righe possono oggi sembrarci ovvie e banali. Vale la pena riflettere, tuttavia, sul fatto che esse furono scritte tredici anni prima del lancio del primo satellite artificiale, Sputnik 1.
In seguito Clarke scrisse un articolo molto più dettagliato che intitolò “The Future of World Communications”. L’editore di Wireless World lo pubblicò nel numero di ottobre 1945 cambiandone il titolo in “Extra-Terrestrial Relays”. Tutto il resto, si potrebbe dire, è storia. Ai nostri giorni, ci sono più di 300 satelliti operativi in orbita geostazionaria ed i loro servizi pervadono la nostra vita quotidiana, dalle telecomunicazioni digitali alle previsioni meteorologiche ed alle trasmissioni televisive.
C’è quanto basta per rendere un uomo famoso ed iscriverlo nel libro della Storia. Arthur C. Clarke, tuttavia, oltre a tante opere letterarie e di divulgazione scientifica, rimarrà anche famoso per averci regalato, insieme ad un altro genio, il regista Stanley Kubrik, un sogno sul futuro dell’umanità che fa ormai parte del nostro immaginario collettivo: quello descritto nel film “2001: odissea nello spazio” (figura 1).
Figura 1: il “poster” del film “2001: odissea nello spazio”
Da “cadetto dello spazio” ad ufficiale della RAF
Arthur Charles Clarke era nato il 16 dicembre 1917 nella cittadina marittima di Minehead, nel Somerset. Sin da bambino era affascinato dalla vista del cielo stellato e si appassionò alla lettura di racconti di fantascienza. Rimasto orfano di padre all’età di quattordici anni, non potè frequentare l’università per motivi economici, ma continuò a perseguire la sua passione per gli studi scientifici. La sua abitazione divenne la sede di fatto della British Interplanetary Society, della quale Clarke divenne “chairman” nel 1949. Vale la pena dire qualcosa in più su questa associazione. La British Interplanetary Society fu fondata nel 1933 ed è la più antica associazione dedicata allo sviluppo delle esplorazioni spaziali. I suoi spesso giovanissimi membri si chiamavano tra loro “space cadets” (“cadetti dello spazio”) e discutevano animatamente e con velleità tecnico-scientifica di imprese che al tempo suonavano come romantiche e visionarie, quali lo sbarco dell’uomo sulla Luna e l’esplorazione del sistema solare. Non era peraltro l’unica società di questo tipo: negli stessi anni fu fondata in Germania la Verein für Raumschiffahrt (Società dei voli spaziali) che si ispirava al lavoro di Hermann Oberth (uno dei padri della missilistica, insieme al russo Konstantin Tsiolkovsky e all'americano Robert Goddard) e contò fra i suoi membri personaggi come Wernher von Braun.
Durante gli anni della guerra, dal 1941 al 1945, Clarke lavorò come specialista radar nella Royal Air Force, congedandosi con il grado di ufficiale. Egli si dedicò soprattutto allo sviluppo del cosiddetto Ground Controlled Approach (GCA) Radar, antesignano dell’ILS (Instrument Landing System), un sistema di terra e di bordo ideato per guidare gli aeromobili nella fase finale di un avvicinamento strumentale di precisione verso la pista di un aeroporto. Si riferisce a quegli anni ed allo sviluppo del GCA il libro parzialmente autobiografico Glide Path, l’unico romanzo non di fantascienza scritto da Clarke.
Un’invenzione da brevettare
Dopo la guerra, Clarke potè riprendere gli studi interrotti. Si iscrisse al King’s College di Londra dove si laureò con lode in Fisica e Matematica nel 1948.
E’ di questi anni, come si è già detto, l’idea che gli avrebbe garantito da sola fama e notorietà in ambito scientifico, ottenendogli fra l’altro riconoscimenti prestigiosi, quali la Marconi International Fellowship nel 1982, una medaglia d’oro del Franklin Institute, la Vikram Sarabhai Professorship del Physical Research Laboratory di Ahmedabad, il Lindbergh Award ed una Fellowship del King's College di Londra, sua “alma mater”. Inoltre l’orbita geostazionaria, a 36 mila chilometri sopra l’Equatore, è stata ufficialmente nominata “Orbita di Clarke” dalla International Astronomical Union.
Nella sua prima lettera all’editore di Wireless World (figura 5) Clarke, oltre a preconizzare l’utilizzo di missili per mettere in orbita satelliti artificiali (lo ricordiamo: era il 1945; il primo Sputnik sarebbe stato lanciato nel 1957), propose per la prima volta l’uso di satelliti in orbita geostazionaria come “ponti radio” nello spazio. Una costellazione composta da un minimo di tre satelliti di questo tipo avrebbe addirittura garantito le comunicazioni su tutta la superficie terrestre (figura 2).
Figura 2: la costellazione di Clarke
L’idea fu perfezionata e dettagliata nel successivo articolo dell’ottobre 1945 (figura 6). In esso, con considerazioni tecniche semplici, ma ineccepibili ed esaustive, Clarke descriveva tutte le caratteristiche ed i vantaggi di un sistema di telecomunicazione basato su satelliti geostazionari
L’orbita geostazionaria è quella nella quale il satellite è sempre nella stessa posizione rispetto alla Terra che ruota su se stessa. Il satellite viaggia su un’orbita circolare ad un’altezza di circa 35790 chilometri, alla quale corrisponde un periodo orbitale (cioè il tempo necessario a percorrere un’orbita completa) uguale al periodo di rotazione della Terra su se stessa (che è di 23 ore, 56 minuti e 4,09 secondi). Ruotando con la stessa velocità angolare e nello stesso senso di rotazione della Terra, il satellite appare stazionario (cioè sincrono rispetto alla rotazione della Terra) (figura 3).
L’orbita geostazionaria è quella nella quale il satellite è sempre nella stessa posizione rispetto alla Terra che ruota su se stessa. Il satellite viaggia su un’orbita circolare ad un’altezza di circa 35790 chilometri, alla quale corrisponde un periodo orbitale (cioè il tempo necessario a percorrere un’orbita completa) uguale al periodo di rotazione della Terra su se stessa (che è di 23 ore, 56 minuti e 4,09 secondi). Ruotando con la stessa velocità angolare e nello stesso senso di rotazione della Terra, il satellite appare stazionario (cioè sincrono rispetto alla rotazione della Terra) (figura 3).
Figura 3: il principio dell’orbita geostazionaria
I satelliti geostazionari sono particolarmente utili nelle telecomunicazioni, in particolare quelle verso utenti fissi (comunicazioni punto-punto, broadcasting televisivo), perché permettono l’utilizzo di antenne semplici, che non richiedono un ripuntamento continuo verso il satellite (quali sono tutte le parabole televisive ormai tanto diffuse anche nel nostro paese).
Poiché un’orbita geostazionaria, per essere tale, deve giacere nello stesso piano al quale appartiene l’Equatore, ne risulta che il satellite sarà visto allo zenith di stazioni situate nelle zone equatoriali e tropicali, con angoli di elevazione sempre più bassi mano a mano che ci si avvicina ai poli. Nelle zone polari e subpolari un satellite geostazionario è in realtà irricevibile, in quanto un’eventuale antenna di terra dovrebbe essere puntata sotto la linea dell’orizzonte.
Orbite geostazionarie vengono anche utilizzate da satelliti per l’osservazione terrestre, in particolare quelli meteorologici. Questo perché a 36000 chilometri di distanza si ha una vista d’insieme di circa un terzo della superficie terrestre (oceani e terre emerse), utile per determinare l’evoluzione di cicloni, uragani ed altri grandi fenomeni atmosferici. Un esempio molto noto di satellite meteorologico geostazionario è costituito dal satellite Meteosat, quello che ci fornisce le belle immagini commentate durante i telegiornali al momento delle previsioni del tempo. Il satellite Meteosat, costruito in una numerosa serie di esemplari, è stato progettato e realizzato da un team di industrie europee coordinato dall’ ESA (European Space Agency), tra le quali l’industria spaziale italiana ha un ruolo primario (essendo responsabile, fra l’altro, di tutte le antenne del satellite).
E’ a questo punto doveroso ricordare il contributo dello stesso Clarke all’utilizzo dei satelliti per l’osservazione meteorologica. Nel 1954, quasi dieci anni dopo la pubblicazione del suo storico articolo su Wireless World, Clarke, ormai conosciuto a livello mondiale come un esperto del settore, intesse una corrispondenza con il Dr. Harry Wexler (allora responsabile della Scientific Services Division, US Weather Bureau), che portò allo sviluppo di una nuova branca della meteorologia, basata sull’utilizzo di razzi e satelliti artificiali.
Ritornando a parlare di orbita geostazionaria, abbiamo già accennato alle sue positive caratteristiche. Dalla sua quota di 36000 chilometri (pari a circa 6 volte il raggio terrestre) un satellite geostazionario vede circa un terzo della superficie terrestre (da circa 75 gradi di latitudine Sud a circa 75 gradi di latitudine Nord).
Come teoricamente predetto da Arthur Clarke, è quindi possibile con un minimo di 3 satelliti geostazionari spaziati di circa 120 gradi offrire un servizio di telecomunicazione praticamente globale. La cosiddetta costellazione geostazionaria ha costituito la fortuna dell’organizzazione internazionale Intelsat (da alcuni anni privatizzata), che ha dominato la scena delle telecomunicazioni commerciali negli ultimi quaranta anni.
Anche l’orbita geostazionaria presenta tuttavia alcuni svantaggi. Innanzi tutto, a causa dell’elevata distanza dalla superficie terrestre, il costo del lancio è per un satellite geostazionario molto elevato e richiede lanciatori di alta classe (quale il razzo multistadio europeo Arianne).
Sempre l’elevata distanza comporta un notevole ritardo di propagazione delle onde radio (circa 0,12 secondi per singola tratta), che è al limite dell’accettabilità durante una conversazione telefonica. Il ritardo di propagazione cessa di essere un problema nel caso di diffusione (“broadcasting”) televisiva, come dimostrato dal successo mondiale della televisione via satellite.
Pensando a questo successo, ai milioni di “parabole” montate sulle abitazioni di tutti i paesi del mondo (anche quelli più poveri e sperduti), Arthur Clarke ha dichiarato molte volte di essersi pentito per aver svenduto un’idea che si sarebbe sviluppata in un affare da molte migliaia di miliardi l’anno e che, se brevettata, lo avrebbe probabilmente reso l’uomo più ricco del mondo.
Baronetto, maestro della fantascienza e…inventore di Internet?
Per molti Arthur Clarke, prima ancora che per il suo contributo alla storia delle telecomunicazioni, è noto per i suoi romanzi ed i suoi numerosi racconti, che hanno assurto la fantascienza a genere letterario di tutto rispetto.
Pur essendo dichiaratamente ateo, la sua letteratura è tutta pervasa da un mistico rispetto di fronte ai misteri dell’Universo ed al destino dell’uomo, sia come individuo che come specie.
Nella sceneggiatura del film capolavoro “2001: odissea nello spazio”, scritta a quattro mani con il regista Stanley Kubrik ed ispirata al racconto “La sentinella” (“The sentinel”) del 1948, attraverso un’avvincente evoluzione di immagini indimenticabili, Clarke riuscì a delineare l’evoluzione dell’umanità dall’antropoide intelligente al “Bambino delle stelle” (“Star Child”), prospettando un futuro di continuo approfondimento quantitativo e qualitativo della conoscenza umana.
In tutte le sue opere, con uno stile accattivante, ma al contempo scientificamente documentato e convincente, sono stati trattati temi fondamentali, sia in ambito scientifico che sociologico: l’esplorazione spaziale, l’incontro con culture aliene, i rapporti fra uomini e macchine, i viaggi nello spazio e nel tempo, l’allungamento della vita umana, l’evoluzione della specie e della società.
Innumerevoli, oltre a quelli già citati, i premi ed i riconoscimenti tributatigli per la sua attività di scrittore, di divulgatore scientifico, di futurologo e, come abbiamo visto, di scienziato.
Nel 2000, fra l’altro, ricevette dal principe Carlo d’Inghilterra il titolo onorifico di Baronetto (“Knight Bachelor”) per i suoi meriti letterari (e che dire di quelli scientifici?).
C’è tuttavia un riconoscimento che ancora non è stato ufficialmente riconosciuto a Sir Arthur C. Clarke: quello di inventore “ante litteram” di Internet e del World Wide Web (Tim Berners-Lee non ci voglia alcun male). Come recentemente sostenuto dallo stesso Clarke in una lettera ad una rivista dello IEEE (“Institute of Electrical and Electronic Engineers”) e modestamente fatto notare da chi scrive alcuni anni prima, nell’ormai lontano 1963 egli pubblicò un racconto breve intitolato “Chiamata per l’homo sapiens” (“Dial F for Frankstein”, nella versione originale inglese). In questo scritto Clarke paventava, con intuizione quasi visionaria, un non lontano futuro nel quale per la prima volta tutti i calcolatori del mondo sarebbero stati connessi tra loro attraverso la rete telefonica; si sarebbe così venuta a creare un’enorme mente artificiale planetaria, che non avrebbe tardato a dare dimostrazione dei suoi poteri.
L’incubo futuristico di Clarke si è realizzato ai nostri giorni, anche se in forme e modalità imprevedibili, trascendenti anche la più fervida immaginazione.
L’ultima orbita intorno al Sole
Quando Arthur Clarke, nel 2007, compì i suoi novanta anni, in un suo messaggio di ringraziamento per gli auguri ricevuti da tutto il mondo, egli ironizzò sulla sua venerabile età, dicendo che non aveva fatto altro che compiere novanta orbite intorno al Sole.
Aveva intrapreso la sua novantunesima orbita, quando, il 18 marzo 2008, morì.
Poiché un’orbita geostazionaria, per essere tale, deve giacere nello stesso piano al quale appartiene l’Equatore, ne risulta che il satellite sarà visto allo zenith di stazioni situate nelle zone equatoriali e tropicali, con angoli di elevazione sempre più bassi mano a mano che ci si avvicina ai poli. Nelle zone polari e subpolari un satellite geostazionario è in realtà irricevibile, in quanto un’eventuale antenna di terra dovrebbe essere puntata sotto la linea dell’orizzonte.
Orbite geostazionarie vengono anche utilizzate da satelliti per l’osservazione terrestre, in particolare quelli meteorologici. Questo perché a 36000 chilometri di distanza si ha una vista d’insieme di circa un terzo della superficie terrestre (oceani e terre emerse), utile per determinare l’evoluzione di cicloni, uragani ed altri grandi fenomeni atmosferici. Un esempio molto noto di satellite meteorologico geostazionario è costituito dal satellite Meteosat, quello che ci fornisce le belle immagini commentate durante i telegiornali al momento delle previsioni del tempo. Il satellite Meteosat, costruito in una numerosa serie di esemplari, è stato progettato e realizzato da un team di industrie europee coordinato dall’ ESA (European Space Agency), tra le quali l’industria spaziale italiana ha un ruolo primario (essendo responsabile, fra l’altro, di tutte le antenne del satellite).
E’ a questo punto doveroso ricordare il contributo dello stesso Clarke all’utilizzo dei satelliti per l’osservazione meteorologica. Nel 1954, quasi dieci anni dopo la pubblicazione del suo storico articolo su Wireless World, Clarke, ormai conosciuto a livello mondiale come un esperto del settore, intesse una corrispondenza con il Dr. Harry Wexler (allora responsabile della Scientific Services Division, US Weather Bureau), che portò allo sviluppo di una nuova branca della meteorologia, basata sull’utilizzo di razzi e satelliti artificiali.
Ritornando a parlare di orbita geostazionaria, abbiamo già accennato alle sue positive caratteristiche. Dalla sua quota di 36000 chilometri (pari a circa 6 volte il raggio terrestre) un satellite geostazionario vede circa un terzo della superficie terrestre (da circa 75 gradi di latitudine Sud a circa 75 gradi di latitudine Nord).
Come teoricamente predetto da Arthur Clarke, è quindi possibile con un minimo di 3 satelliti geostazionari spaziati di circa 120 gradi offrire un servizio di telecomunicazione praticamente globale. La cosiddetta costellazione geostazionaria ha costituito la fortuna dell’organizzazione internazionale Intelsat (da alcuni anni privatizzata), che ha dominato la scena delle telecomunicazioni commerciali negli ultimi quaranta anni.
Anche l’orbita geostazionaria presenta tuttavia alcuni svantaggi. Innanzi tutto, a causa dell’elevata distanza dalla superficie terrestre, il costo del lancio è per un satellite geostazionario molto elevato e richiede lanciatori di alta classe (quale il razzo multistadio europeo Arianne).
Sempre l’elevata distanza comporta un notevole ritardo di propagazione delle onde radio (circa 0,12 secondi per singola tratta), che è al limite dell’accettabilità durante una conversazione telefonica. Il ritardo di propagazione cessa di essere un problema nel caso di diffusione (“broadcasting”) televisiva, come dimostrato dal successo mondiale della televisione via satellite.
Pensando a questo successo, ai milioni di “parabole” montate sulle abitazioni di tutti i paesi del mondo (anche quelli più poveri e sperduti), Arthur Clarke ha dichiarato molte volte di essersi pentito per aver svenduto un’idea che si sarebbe sviluppata in un affare da molte migliaia di miliardi l’anno e che, se brevettata, lo avrebbe probabilmente reso l’uomo più ricco del mondo.
Baronetto, maestro della fantascienza e…inventore di Internet?
Per molti Arthur Clarke, prima ancora che per il suo contributo alla storia delle telecomunicazioni, è noto per i suoi romanzi ed i suoi numerosi racconti, che hanno assurto la fantascienza a genere letterario di tutto rispetto.
Pur essendo dichiaratamente ateo, la sua letteratura è tutta pervasa da un mistico rispetto di fronte ai misteri dell’Universo ed al destino dell’uomo, sia come individuo che come specie.
Nella sceneggiatura del film capolavoro “2001: odissea nello spazio”, scritta a quattro mani con il regista Stanley Kubrik ed ispirata al racconto “La sentinella” (“The sentinel”) del 1948, attraverso un’avvincente evoluzione di immagini indimenticabili, Clarke riuscì a delineare l’evoluzione dell’umanità dall’antropoide intelligente al “Bambino delle stelle” (“Star Child”), prospettando un futuro di continuo approfondimento quantitativo e qualitativo della conoscenza umana.
In tutte le sue opere, con uno stile accattivante, ma al contempo scientificamente documentato e convincente, sono stati trattati temi fondamentali, sia in ambito scientifico che sociologico: l’esplorazione spaziale, l’incontro con culture aliene, i rapporti fra uomini e macchine, i viaggi nello spazio e nel tempo, l’allungamento della vita umana, l’evoluzione della specie e della società.
Innumerevoli, oltre a quelli già citati, i premi ed i riconoscimenti tributatigli per la sua attività di scrittore, di divulgatore scientifico, di futurologo e, come abbiamo visto, di scienziato.
Nel 2000, fra l’altro, ricevette dal principe Carlo d’Inghilterra il titolo onorifico di Baronetto (“Knight Bachelor”) per i suoi meriti letterari (e che dire di quelli scientifici?).
C’è tuttavia un riconoscimento che ancora non è stato ufficialmente riconosciuto a Sir Arthur C. Clarke: quello di inventore “ante litteram” di Internet e del World Wide Web (Tim Berners-Lee non ci voglia alcun male). Come recentemente sostenuto dallo stesso Clarke in una lettera ad una rivista dello IEEE (“Institute of Electrical and Electronic Engineers”) e modestamente fatto notare da chi scrive alcuni anni prima, nell’ormai lontano 1963 egli pubblicò un racconto breve intitolato “Chiamata per l’homo sapiens” (“Dial F for Frankstein”, nella versione originale inglese). In questo scritto Clarke paventava, con intuizione quasi visionaria, un non lontano futuro nel quale per la prima volta tutti i calcolatori del mondo sarebbero stati connessi tra loro attraverso la rete telefonica; si sarebbe così venuta a creare un’enorme mente artificiale planetaria, che non avrebbe tardato a dare dimostrazione dei suoi poteri.
L’incubo futuristico di Clarke si è realizzato ai nostri giorni, anche se in forme e modalità imprevedibili, trascendenti anche la più fervida immaginazione.
L’ultima orbita intorno al Sole
Quando Arthur Clarke, nel 2007, compì i suoi novanta anni, in un suo messaggio di ringraziamento per gli auguri ricevuti da tutto il mondo, egli ironizzò sulla sua venerabile età, dicendo che non aveva fatto altro che compiere novanta orbite intorno al Sole.
Aveva intrapreso la sua novantunesima orbita, quando, il 18 marzo 2008, morì.
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