Dopo il primo sincero entusiasmo, la “cosa” mi rimane in bella vista su un mobile del soggiorno, monumento all’inutilità e, ad un tempo, all’amore paterno.
Un giorno la osservo con occhio furbo e malizioso: le dimensioni sono più o meno giuste, ho qualche metro di filo elettrico avanzato ed un condensatore variabile dovrei riuscire a trovarlo.
Mi viene quindi l’idea di costruire un’antenna a quadro per le onde medie e di sperimentare con essa. Una volta tanto decido di non fare complicati calcoli basati su altrettanto complicate formule e di farmi piuttosto guidare dall'intuito e dall’improvvisazione.
Lo schema elettrico dell’antenna è veramente elementare (figura 1):
Figura 1
In una prima implementazione dell’antenna (figura 2), L è costituita da dieci spire affiancate di comune filo elettrico per impianti domestici, Cv è invece un condensatore variabile ad aria saccheggiato da una vecchia radiolina onde medie degli anni ’60 (capacità massima probabilmente intorno ai 300 pF).
Figura 2
Giunge a questo punto il momento della verità: inserisco una radio onde medie economica (questa funzionante) nell’antenna a quadro, in modo tale che le spire dell’antenna siano parallele alle spire dell’antenna a ferroxube all’interno della radio (nella maggior parte dei casi, questo consisterà nel porre il lato lungo della radio perpendicolare al piano dell’antenna a quadro). Sintonizzo la radio su una frequenza della banda onde medie e ruoto il condensatore variabile dell’antenna a quadro: il primo effetto che si nota è un aumento del rumore di fondo, al quale si associa la comparsa o il notevole aumento d’intensità di segnali altrimenti appena udibili. Sfortunatamente mi rendo conto del fatto che l’escursione del condensatore variabile non mi permette di coprire completamente la banda delle onde medie: di fatto è la parte inferiore della banda a non essere coperta, come se la capacità massima del variabile non fosse sufficientemente alta. Ci vorrebbe forse un condensatore fisso in parallelo (capacità in parallelo si sommano). Detto e fatto: “pesco” dallo scatolone dei componenti alla rinfusa un bel condensatore a mica da 500 pF e lo saldo in parallelo a Cv. Ora però è la parte superiore della banda a non essere completamente coperta. Una seconda rovistata nel già menzionato scatolone e con l’aggiunta di un interruttore a levetta il circuito dell’antenna a quadro raggiunge la sua versione definitiva (figure 3 e 4):
Figura 4
Le prestazioni di questa antenna, che ho definito nel titolo super-economica, sono veramente sorprendenti. Esse sono soprattutto evidenti nelle ore diurne ed in associazione a ricevitori di medie o scarse prestazioni: in questi casi non sarà infrequente ricevere stazioni lontane in porzioni della banda altrimenti completamente mute.
Possiamo anche dire che con poche migliaia di lire (o meglio, pochi euro) di spesa, si possono ottenere i risultati normalmente ottenibili con ricevitori di classe e costo alquanto elevati.
A questo proposito, e visto che abbiamo finora parlato di prestazioni “super”, colgo l’occasione per parlare di un ricevitore molto famoso negli Stati Uniti fra gli appassionati del DX in Onde Medie: la GE Superadio III (per gli amici SR3) (figura 5).
Figura 5
A prima vista la GE Superadio III si presenta come un’elegante radio portatile per AM/FM (530-1705 KHz e 88-108 MHz), dotata di doppio altoparlante (un ampio woofer da 17 centimetri ed un tweeter), di antenna telescopica per la FM, di prese per antenna esterna e di un ricca dotazione di controlli (bassi, acuti, larghezza di banda, AFC).
Ma le caratteristiche che la rendono tanto famosa fra gli appassionati del DX d’oltreoceano derivano soprattutto dall’antenna a ferrite per le onde medie, lunga ben 20 centimetri, e per l’insolito numero di stadi IF (ben quattro stadi sintonizzati in AM, contro i due normalmente utilizzati). Non mi risulta che la GE Superadio III sia venduta in Italia; negli stessi Stati Uniti non è facile da trovare (anche perché continuamente richiesta dagli appassionati). Io l’ho trovata qualche anno fa in un oscuro “drugstore” californiano, pagandola circa quaranta dollari (cioè sessantacinque mila lire di allora). Un avvertimento è doveroso: al ritorno in Italia, tra dogana, IVA e dichiarazione obbligatoria d’importazione all’Ufficio Postale, ho dovuto spendere quasi quanto l’avevo originariamente pagata (alla faccia della globalizzazione !).
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