(Ricevo e pubblico con molto piacere dal mio amico Rick Fleeter, K8VG)
di Rick Fleeter, K8VK
Che cosa è un “collegamento”? Un atto senza pensiero, senza sforzo, fra persone, animali, perfino fra un pianeta ed il suo sole.
Ma quando avevo 9 ani, comunicare non era per me una cosa così facile. Ai miei coetanei non piacevo molto. Loro mi consideravano troppo maturo, troppo serioso, forse anche troppo intelligente - in un’epoca in cui essere “secchione” non era proprio come essere un eroe popolare.
Con la mia nuova patente di radioamatore, WN8VGK, ed il codice Morse da 5 WPM (parole per minuto), cominciai ad avere “collegamenti”, senza quegli impedimenti che mi molestavano fuori del mondo della radio.
“Collegare”, comunicare, diventava una cosa facile, semplice, nel piano bi-dimensionale dei ‘dit’ e ‘dah’. C’era bisogno solo di “call sign”, RST, forse QTH e tipo di radio ed antenna, per sentirsi un campione nel comunicare.
E quando si voleva parlare di più, l’aspetto fisico e l’età anagrafica non contavano, non impedivano il collegamento.
Perfino l’ intelligenza, l’essere un po’ precoci, era una cosa positiva. Nel mondo dei radioamatori, chi sa di più viene ancora apprezzato.
Era un sabato di gennaio del 1964. Una serata fredda a Cleveland, nello stato dell’Ohio. La neve fuori della finestra della mia stanza copriva tutto, facendo sembrare il panorama un’arena fatta di pezzi di cromo nero sotto un cielo nuvoloso. Dentro la stanza, finii un QSO, in CW, sui 40 metri, che durava un’ora e mezza, forse anche di più. Mi resi conto dell’ora - le 23:15 – molto tardi per un ragazzo di 9 anni. Anche la stanza era quasi totalmente oscura, tranne la luce proveniente dalle valvole della mia radio - una 6146 ed alcune altre – che lavorava alla frequenza fissa dell’unico quarzo che avevo - 7167 kHz .
Con questa radio ed una semplice antenna filare, avevo parlato chiaramente con una persona, un amico nuovo, nello stato del Wyoming.
Qual era stata la cosa più importante? Che con una radio da 50 watt avessi coperto una così lunga distanza? O che avessi parlato tanto tempo e senza sforzo, senza l’ostacolo delle cose fisiche contro le quali non potevo far niente?
Ero stanco, ma ancor più felice di aver fatto questo collegamento senza le barriere che avevo di giorno nella scuola elementare. Questo, pensavo, è il vero collegamento fra esseri umani, fra amici.
Attraverso la radio, riuscii a superare i problemi che avevo con i miei coetanei.
Avevo la prima occasione di essere da solo e responsabile nel mondo tecnico, complesso e potente, degli adulti, di essere un buon cittadino nel popolo dei radioamatori.
Oggi, sebbene non abbia più i problemi di comunicazione che avevo nel 1963, ancora ricordo come mi sentivo a vivere così. E’ stata la radio che mi ha istradato lungo la carriera e la vita ricca di esperienze e di amici. Amici che condividono con me la passione per il collegamento, fra umani e fra noi e l’universo nel quale viviamo.
La radio, contrariamente ad Internet, ma come la scienza e la vita, ci collega spesso con sconosciuti in luoghi inaspettati. La radio ci insegna quindi a comunicare con persone mai incontrate prima, che appartengono a culture a volte a noi completamente estranee. Questo è il suo fascino, il suo potere e la sua magia.
Ma quando avevo 9 ani, comunicare non era per me una cosa così facile. Ai miei coetanei non piacevo molto. Loro mi consideravano troppo maturo, troppo serioso, forse anche troppo intelligente - in un’epoca in cui essere “secchione” non era proprio come essere un eroe popolare.
Con la mia nuova patente di radioamatore, WN8VGK, ed il codice Morse da 5 WPM (parole per minuto), cominciai ad avere “collegamenti”, senza quegli impedimenti che mi molestavano fuori del mondo della radio.
“Collegare”, comunicare, diventava una cosa facile, semplice, nel piano bi-dimensionale dei ‘dit’ e ‘dah’. C’era bisogno solo di “call sign”, RST, forse QTH e tipo di radio ed antenna, per sentirsi un campione nel comunicare.
E quando si voleva parlare di più, l’aspetto fisico e l’età anagrafica non contavano, non impedivano il collegamento.
Perfino l’ intelligenza, l’essere un po’ precoci, era una cosa positiva. Nel mondo dei radioamatori, chi sa di più viene ancora apprezzato.
Era un sabato di gennaio del 1964. Una serata fredda a Cleveland, nello stato dell’Ohio. La neve fuori della finestra della mia stanza copriva tutto, facendo sembrare il panorama un’arena fatta di pezzi di cromo nero sotto un cielo nuvoloso. Dentro la stanza, finii un QSO, in CW, sui 40 metri, che durava un’ora e mezza, forse anche di più. Mi resi conto dell’ora - le 23:15 – molto tardi per un ragazzo di 9 anni. Anche la stanza era quasi totalmente oscura, tranne la luce proveniente dalle valvole della mia radio - una 6146 ed alcune altre – che lavorava alla frequenza fissa dell’unico quarzo che avevo - 7167 kHz .
Con questa radio ed una semplice antenna filare, avevo parlato chiaramente con una persona, un amico nuovo, nello stato del Wyoming.
Qual era stata la cosa più importante? Che con una radio da 50 watt avessi coperto una così lunga distanza? O che avessi parlato tanto tempo e senza sforzo, senza l’ostacolo delle cose fisiche contro le quali non potevo far niente?
Ero stanco, ma ancor più felice di aver fatto questo collegamento senza le barriere che avevo di giorno nella scuola elementare. Questo, pensavo, è il vero collegamento fra esseri umani, fra amici.
Attraverso la radio, riuscii a superare i problemi che avevo con i miei coetanei.
Avevo la prima occasione di essere da solo e responsabile nel mondo tecnico, complesso e potente, degli adulti, di essere un buon cittadino nel popolo dei radioamatori.
Oggi, sebbene non abbia più i problemi di comunicazione che avevo nel 1963, ancora ricordo come mi sentivo a vivere così. E’ stata la radio che mi ha istradato lungo la carriera e la vita ricca di esperienze e di amici. Amici che condividono con me la passione per il collegamento, fra umani e fra noi e l’universo nel quale viviamo.
La radio, contrariamente ad Internet, ma come la scienza e la vita, ci collega spesso con sconosciuti in luoghi inaspettati. La radio ci insegna quindi a comunicare con persone mai incontrate prima, che appartengono a culture a volte a noi completamente estranee. Questo è il suo fascino, il suo potere e la sua magia.
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