Il problema fondamentale da risolvere nella definizione di un collegamento radio è schematicamente descritto in figura 1.
Per rispondere a questa domanda sarà necessario svolgere alcuni calcoli relativamente semplici, spesso riassunti ed indicati con l’espressione inglese “link budget”, dove “link” vuol dire collegamento e “budget” è il conto della spesa.
Faremo per semplicità l’assunzione che le antenne siano a portata ottica, cioè che siano visibili l’una dall’altra, senza ostacoli naturali o edifici che si interpongano fra di esse. Questa ipotesi non è poi così limitativa, visto che si applica alla maggior parte dei collegamenti a frequenze superiori alle VHF (quindi, per esempio, ai collegamenti dei radioamatori nelle bande dei 2 metri e dei 70 centimetri) ed alla diffusione di canali televisivi da parte di un satellite geostazionario (si usano in questo caso frequenze intorno ai 12 GHz, cioè in banda Ku). Vedremo in seguito come estendere i nostri risultati dal caso esaminato ad altre situazioni interessanti, quale è ad esempio il collegamento radio ad onde corte via riflessione ionosferica.
Il guadagno direttivo di un’antenna
Prima di addentrarci nei meravigliosi misteri del “link budget”, varrà la pena di chiarirci le idee sulla definizione, spesso fraintesa, di guadagno d’antenna.
Cominciamo col dissipare un dubbio molto diffuso: il guadagno di un’antenna è qualcosa di fondamentalmente diverso dal guadagno di un amplificatore.
In un amplificatore (audio o RF che sia) si converte la potenza in continua fornita da un alimentatore in potenza del segnale d’uscita. Dovendosi come sempre rispettare la legge di conservazione dell’energia, questa conversione avviene con efficienza inferiore al 100 per cento.
In un’antenna, che è un componente notoriamente passivo, non si ha conversione di potenza in continua fornita da un alimentatore e sembrerebbe quindi che parlare di guadagno equivalga ad ammettere la creazione di potenza, negata dalle leggi della fisica.
In realtà il guadagno di un’antenna (meglio sarebbe parlare di “direttività” o di “guadagno direttivo”) non si riferisce ad alcun processo di conversione, ma piuttosto alla capacità dell’antenna di concentrare in una specifica direzione la potenza da essa irradiata.
Si introduce anzi il concetto di antenna isotropa (parolaccia quest’ultima derivante dal greco antico), cioè di un’antenna che irradia in modo uniforme in tutte le direzioni; il guadagno direttivo di un’antenna o guadagno rispetto all’isotropa, è quindi, come già spiegato, una misura della capacità dell’antenna di concentrare la potenza irradiata, riferita al caso ideale in cui l’antenna irradia uniformemente in tutte le direzioni.
Si è parlato di caso ideale perché in realtà l’antenna isotropa è un concetto essenzialmente matematico e nessuno l’ha mai né vista né realizzata.
Volendoci aiutare con un paragone, anche se un po’ forzato, potremmo immaginare l’antenna isotropa come una lampadina che, appesa ad un filo al centro di una stanza, illumina in modo uniforme tutte le pareti; l’antenna direttiva per contro è come una torcia elettrica che generi un pennello di luce ad alta intensità, in grado di illuminare aree piccole ma molto distanti.
Il guadagno direttivo di un’antenna viene espresso normalmente in dBi (dove la lettera “i” ricorda appunto il confronto rispetto all’antenna isotropa) ed è calcolato attraverso la formula seguente:
G = (4 pigreco Aequ.) / l^2
Il concetto di area equivalente di un’antenna non è di immediata comprensione, soprattutto se riferito ad antenne che non hanno un’area fisica propriamente definita (si pensi a tutte le antenne filari, ai dipoli o alle Yagi). Semplificando un poco le cose, si potrebbe dire che l’area equivalente di un’antenna è l’area fisica che dovrebbe avere un’antenna a riflettore per fornire un guadagno uguale a quello dell’antenna considerata.
L’attenuazione da spazio libero
L’aver introdotto la definizione di guadagno d’antenna rispetto all’isotropa ci permette di ricondurre il nostro problema iniziale ad una forma molto semplice da analizzare.
Per quanto detto finora, il nostro trasmettitore di potenza PT connesso all’antenna trasmittente di guadagno GT corrisponde ad un trasmettitore di potenza maggiore, pari a PT per GT, connesso questa volta ad un’antenna isotropa, cioè di guadagno unitario.
Sarà meglio fare un esempio pratico per non perdere il filo del discorso. Supponiamo che il trasmettitore fornisca 10 watt di potenza RF e l’antenna trasmittente guadagni 20 dB, cioè 100 volte; dal punto di vista del nostro ascoltatore all’altro capo del link, questa situazione è equivalente ad avere un trasmettitore da 10 x 100 = 1000 watt di potenza, connesso ad una ideale antenna isotropa. La figura 2 seguente ci aiuterà a chiarirci le idee.
Densità di flusso di potenza = (PTGT)/( 4 pigreco R^2)
espressa in Watt per metro quadro, se la distanza R è espressa in metri.
Ricordiamoci ora che si voleva inizialmente calcolare la potenza PR catturata dall’antenna ricevente ed inviata all’ingresso del ricevitore. Questa potenza sarà uguale al prodotto dell’area equivalente dell’antenna ricevente per la densità di flusso di potenza, cioè:
Sostituendo ora in questa formula l’espressione dell’area equivalente, ricavata dalla formula del guadagno, si ottiene:
PR = [(PTGT)GR]/[( 4 pigreco R)/l]^2
Il denominatore dell’espressione viene comunemente chiamato “attenuazione da spazio libero” (in inglese: “free space loss”) e fornisce per l’appunto la perdita che il segnale radio subisce in conseguenza del fenomeno propagativo:
LFS = [( 4 pigreco R)/l]^2
L’attenuazione da spazio libero assume generalmente valori molto grandi (come avrete notato, infatti, essa dipende dal quadrato della distanza) ed è quindi più pratico esprimerla sotto forma di dB, secondo la formula pratica seguente:
LFS = 32,45 + 20 log F + 20 log R
Per coloro che non avessero sotto mano una calcolatrice con funzioni logaritmiche, ho preparato una pratica tabella per le frequenze radioamatoriali dei 50, 144 e 432 MHz:
Supponiamo a questo punto di avere un trasmettitore da 1 watt funzionante nella banda dei due metri (144 MHz), connesso ad un’antenna direttiva con guadagno pari a 20 volte (cioè 13 dbi). A 50 chilometri da noi un amico OM è in ascolto sulla nostra frequenza con un ricevitore connesso ad una semplice antenna a dipolo (guadagno pari a circa 1,6 volte, cioè 2 dBi).
La potenza ricevuta, per quanto detto finora, sarà pari a:
0, 000 000 000 3 W cioè 0,3 nW (nanowatt).
Questo livello, apparentemente molto basso, corrisponde di fatto a circa 100 mV (microvolt) sull’impedenza d’ingresso di 50 ohm del ricevitore e porterà l’indice dello S-meter su una più che accettabile indicazione S-9.
I calcoli fatti sono in qualche modo ottimistici, in quanto non tengono conto di eventuali ostacoli fisici (edifici, alberi, rialzi del terreno), di fenomeni atmosferici (attenuazione da pioggia ed altro) e di altri fenomeni propagativi (ad esempio quello denominato “multipath”, legato alle riflessioni del segnale sugli ostacoli).
La propagazione ionosferica
A frequenze comprese fra i 3 ed i 25 Mhz e per distanze maggiori di circa 150 chilometri, il collegamento radioelettrico fra due stazioni dipende interamente dalla riflessione delle onde radio sulla ionosfera.
La ionosfera è una regione dell’atmosfera molto distante rispetto alla superficie terrestre, dove l’aria è sufficientemente rarefatta (principalmente a causa della luce ultravioletta) da riflettere o assorbire le onde radio, a seconda della densità di elettroni liberi in essa presenti (figura 3).
Bisogna a questo punto ricordare che un materiale conduttore (ad esempio un metallo) è tale proprio perché gli elettroni sono liberi di muoversi al suo interno e permettono perciò il passaggio di una corrente elettrica. E’ intuitivo pertanto immaginare uno strato atmosferico ricco di elettroni liberi come uno specchio metallico, in grado di riflettere le onde radio.Vengono individuati nella ionosfera vari strati (“layers”) situati a differenti altezze rispetto alla superficie terrestre ed attraverso i quali la ionizzazione generalmente aumenta con l’altezza. Vale la pena di passarli brevemente in esame.
Ad un’altezza di circa 110 chilometri si trova invece lo strato “E”, molto importante per la propagazione diurna delle onde corte a distanze inferiori ai 1500 chilometri, nonché per la propagazione notturna delle onde medie.
Ad altezze comprese fra i 160 ed i 500 chilometri, si estende il cosiddetto strato “F”, che durante il giorno può dividersi nei due sottostrati F1 ed F2. Lo strato “F” è quello maggiormente utilizzato nelle comunicazioni a lunga distanza, mantenendo le sue proprietà riflettenti anche durante le ore notturne. A causa della bassissima densità dell’aria, infatti, gli elettroni liberi generati per ionizzazione durante le ore diurne si ricombinano molto lentamente e sopravvivono per qualche tempo anche dopo il tramonto del sole.
Abbiamo precedentemente paragonato gli strati della ionosfera ad uno specchio metallico perfettamente conduttore. In questo caso le onde radio incidenti seguirebbero le regole della riflessione ottica (angolo d’incidenza uguale all’angolo di riflessione) e non verrebbero minimamente attenuate. Nella realtà le onde radio che incidono obliquamente sulla ionosfera seguono un cammino incurvato (a causa della graduale riflessione attraverso i successivi strati) e vengono inoltre parzialmente attenuate (figura 5).
Per semplicità considereremo solo il caso di propagazione con singola riflessione (“single hop”), pur sapendo che riflessioni multiple delle onde radio fra strati ionizzati e superficie terrestre sono possibili e frequenti.
Gli angoli di partenza (in inglese “take-off angle” o TOA) e di arrivo sono molto importanti nel progetto di antenne per comunicazioni ad onde corte. Essi dipendono dall’altezza virtuale dello strato ionosferico riflettente e dalla distanza fra le stazioni. Di fatto, la distanza massima raggiungibile con una singola riflessione ionosferica è limitata dall’orizzonte terrestre: l’angolo di partenza (misurato proprio rispetto all’orizzonte) diventa sempre più piccolo con l’aumentare della distanza e, corrispondentemente, il fascio dell’antenna rasenta sempre più l’orizzonte. E’ importante notare che idealmente il massimo di guadagno dell’antenna dovrebbe corrispondere al TOA: questo è il motivo per cui nei collegamenti DX si preferiscono antenne con il lobo di radiazione principale molto basso rispetto all’orizzonte. Un basso angolo di partenza permette di coprire la stessa distanza con un numero di riflessioni (salti) inferiore a quello che si avrebbe con un angolo di partenza più alto (figure 6 e 7).
Il calcolo delle caratteristiche geometriche di un collegamento radioelettrico per mezzo della propagazione ionosferica richiede l’utilizzo di formule piuttosto complesse.
Ho pensato quindi di sviluppare un piccolo programma in linguaggio Basic e calcolare i parametri d’interesse per varie altezze dello strato riflettente, corrispondenti approssimativamente agli strati E, F1 ed F2.
Nelle tabelle che seguono, la variabile D, espressa in chilometri, rappresenta la distanza terrestre fra le stazioni da collegare. H è per l’appunto l’altezza rispetto alla superficie terrestre (sempre in chilometri) dello strato riflettente considerato. L (in chilometri) e TOA (in gradi) corrispondono rispettivamente alla lunghezza complessiva del collegamento radio (singola riflessione) ed all’angolo di partenza dell’onda radio (uguale, in prima approssimazione, a quello di arrivo).
La lunghezza L è quella che deve essere considerata nell’eventuale calcolo della “perdita da spazio libero” (“free-space loss”), come definita .
Si noti come la distanza massima raggiungibile con un singolo salto varia a seconda dello strato ionosferico usato. Ad esempio, la massima distanza via strato E è di circa 2000 chilometri, mentre essa raggiunge i 4000 chilometri nel caso di strato F2.
E’ importante anche considerare che, a seconda della frequenza usata, non tutti i collegamenti saranno di fatto realizzabili. Se l’angolo di partenza (TOA) è infatti superiore ad un angolo limite, detto “angolo critico”, allora l’onda radio incidente non sarà riflessa dalla ionosfera e si perderà nello spazio. L’angolo critico è inversamente proporzionale alla frequenza, cioè diminuisce all’aumentare di questa.
Un’ultima considerazione: sembrerebbe dalle tabelle impossibile ottenere collegamenti ionosferici a distanze superiori ai 3000 chilometri. Ma attenzione: le tabelle si riferiscono al caso di singola riflessione. Nella realtà, il caso di riflessioni multiple fra ionosfera e suolo terrestre (essenzialmente conduttore) è frequentissimo e ad esso si devono i DX più interessanti. Il semplice modello proposto (e le tabelle ad esso relative) è tuttavia ancora applicabile, a patto di suddividere in più salti singoli la distanza totale da coprire.
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