Un doveroso ringraziamento ai nostri "ispiratori"

Si sente a volte la necessità (direi quasi il dovere) di condividere le proprie esperienze, conoscenze e passioni.
Nell'ambito della scienza e della tecnica si è sempre ben consci della propria ignoranza, ma si avverte al tempo stesso l'importanza di comunicare quanto si conosce agli altri, soprattutto ai più giovani e meno esperti.
La cosa più importante poi non risiede in quelle poche schegge di esperienza che si riescono a condividere, quanto nella passione che ci ha permesso di acquisirle.
Trasmettere una scintilla di quella passione è tanto difficile quanto fondamentale.
Ognuno di noi ha avuto uno o più ispiratori che ci hanno istradato lungo il cammino di un "hobby" o di una professione.
Io dovrei ricordare l'amico conosciuto al mare che mi disegnò su un foglio di carta da lettera (che ancora conservo) lo schema e le istruzioni per costruire la mia prima radio "a galena" (in realtà utilizzava un bel diodo al germanio OA81 che ancora conservo gelosamente) e tanti, tanti altri, amici, conoscenti e colleghi, che hanno segnato la mia vita fornendomi idee ed ispirazione.

Non posso tuttavia non menzionare particolarmente un signore che, pur non avendolo io mai incontrato, ha influenzato più di tutti la mia vita e che rimane tuttora un riferimento ed un modello ideali: Guglielmo Marconi.

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

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venerdì 13 febbraio 2009

Lo storico brevetto "7777"

Ricevo e pubblico con molto piacere dal mio carissimo amico Giuseppe Grelli le immagini dello storico brevetto "7777" di Marconi, con il quale rivendicava l'invenzione del "circuito sintonico", cioè del circuito di sintonia a induttanza e capacità variabili così come lo conosciamo tuttora.
Pochi dei non addetti ai lavori sanno che i primi trasmettitori a scintilla trasmettevano su bande larghissime (lo spettro di una scarica elettrica in aria), l'unico elemento di sintonia, a bassissimo Q, essendo costituito dal circuito risonante antenna-terra.
La radio così come la conosciamo oggi, con un manopola di sintonia che permette di selezionare un numero elevato (ma non infinito) di stazioni, sulla base della loro frequenza di trasmissione, la dobbiamo a questa invenzione di Marconi, che per certi aspetti è quasi più importante della stessa telegrafia senza fili.
Il brevetto porta la data del 26 aprile 1900. Di lì a nove anni, Marconi avrebbe conseguito il premio Nobel per la Fisica per le sue rivoluzionarie invenzioni. E proprio quest'anno, 2009, cade il primo centenario di questo illustre riconoscimento.



sabato 7 febbraio 2009

Le orbite dei satelliti

I satelliti artificiali possono operare su differenti tipi di orbite (figura 1). Il tipo di orbita utilizzato dipende prima di tutto dalla missione del satellite. L’orbita più diffusa tra i satelliti per telecomunicazioni commerciali è quella geostazionaria, anche se recentemente si sono diffuse costellazioni di satelliti in orbita LEO (sistemi Iridium e Globalstar) ed inclinata (sistema ICO). I satelliti per l’osservazione terrestre e meteorologici utilizzano orbite geostazionarie e polari, più raramente quelle inclinate. Molti altre orbite sono possibili, come ad esempio le orbite Molniya, comunemente utilizzate dai satelliti russi.
Orbite geostazionarie

Cinquantasei anni fa, nel numero di ottobre 1945, la rivista inglese “Wireless World” pubblicò un articolo con un titolo alquanto visionario: « Extraterrestrial Relays» (cioè, “ponti radio extraterrestri”). L’autore era un giovane tenente di 28 anni della British Royal Air Force (la mitica RAF), Arthur C. Clarke, che aveva peraltro lavorato durante la Seconda Guerra Mondiale allo sviluppo di sistemi radar (figura 2).
Nel suo articolo, Clarke prospettava l’utilizzo di satelliti artificiali ad una quota tale da ruotare in modo sincrono con la rotazione terrestre per essere utilizzati come “ponti radio” nello spazio (figura 3).

Una costellazione composta da un minimo di tre satelliti di questo tipo avrebbe addirittura garantito le comunicazioni su tutta la superficie terrestre.
Arthur C. Clarke è divenuto in seguito un famosissimo scrittore di romanzi di fantascienza (è famoso, fra l’altro, per aver ispirato con un suo racconto il celeberrimo film “2001: odissea nello spazio” di Stanley Kubrick). Ha tuttavia dichiarato molte volte di essersi pentito per aver svenduto un’idea che si sarebbe sviluppata in un affare da molte migliaia di miliardi l’anno e che, se brevettata, lo avrebbe probabilmente reso l’uomo più ricco del mondo.
L’orbita geostazionaria è quella nella quale il satellite è sempre nella stessa posizione rispetto alla Terra che ruota su se stessa. Il satellite viaggia su un’orbita circolare ad un’altezza di circa 35790 chilometri, alla quale corrisponde un periodo orbitale (cioè il tempo necessario a percorrere un’orbita completa) uguale al periodo di rotazione della Terra su se stessa (che è di 23 ore, 56 minuti e 4,09 secondi). Ruotando con la stessa velocità angolare e nello stesso senso di rotazione della Terra, il satellite appare stazionario (cioè sincrono rispetto alla rotazione della Terra) (figura 4).

Figura 4: l'orbita geostazionaria è geosincrona

I satelliti geostazionari sono particolarmente utili nelle telecomunicazioni, in particolare quelle verso utenti fissi (comunicazioni punto-punto, broadcasting televisivo), perché permettono l’utilizzo di antenne semplici, che non richiedono un ripuntamento continuo verso il satellite (quali sono tutte le parabole televisive ormai tanto diffuse anche nel nostro paese).
Poiché un’orbita geostazionaria, per essere tale, deve giacere nello stesso piano al quale appartiene l’Equatore, ne risulta che il satellite sarà visto allo zenith di stazioni situate nelle zone equatoriali e tropicali, con angoli di elevazione sempre più bassi mano a mano che ci avvicina ai poli. Nelle zone polari e subpolari un satellite geostazionario è in realtà irricevibile, in quanto un’eventuale antenna di terra dovrebbe essere puntata sotto la linea dell’orizzonte.
Orbite geostazionarie vengono anche utilizzate da satelliti per l’osservazione terrestre, in particolare quelli meteorologici. Questo perché a 36000 chilometri di distanza si ha una vista d’insieme di circa un terzo della superficie terrestre (oceani e terre emerse), utile per determinare l’evoluzione di cicloni, uragani ed altri grandi fenomeni atmosferici. Un esempio molto noto di satellite meteorologico geostazionario è costituito dal satellite Meteosat, quello che ci fornisce le belle immagini commentate durante i telegiornali al momento delle previsioni del tempo. Il satellite Meteosat, costruito in una numerosa serie di esemplari, è stato progettato e realizzato da un team di industrie europee coordinato dall’ ESA (European Space Agency), tra le quali l’industria spaziale italiana ha un ruolo primario (essendo responsabile, fra l’altro, di tutte le antenne del satellite).
Abbiamo già accennato alle positive caratteristiche dell’orbita geostazionaria. Dalla sua quota di 36000 chilometri (pari a circa 6 volte il raggio terrestre) un satellite geostazionario vede circa un terzo della superficie terrestre (da circa 75 gradi di latitudine Sud a circa 75 gradi di latitudine Nord).
Come teoricamente predetto da Arthur Clarke, è quindi possibile con un minimo di 3 satelliti geostazionari spaziati di circa 120 gradi offrire un servizio di telecomunicazione praticamente globale. La cosiddetta costellazione geostazionaria ha costituito la fortuna dell’organizzazione internazionale Intelsat (recentemente privatizzata), che ha dominata la scena delle telecomunicazioni commerciali negli ultimi quaranta anni.
Anche l’orbita geostazionaria presenta tuttavia alcuni svantaggi. Innanzi tutto, a causa dell’elevata distanza dalla superficie terrestre, il costo del lancio è per un satellite geostazionario molto elevato e richiede lanciatori di alta classe (quale il razzo multistadio europeo Arianne).
Sempre l’elevata distanza comporta un notevole ritardo di propagazione delle onde radio (circa 0,12 secondi per singola tratta), che è al limite dell’accettabilità durante una conversazione telefonica. Il ritardo di propagazione cessa di essere un problema nel caso di diffusione (broadcasting) televisiva, come dimostrato dal successo mondiale della televisione via satellite.

Orbite polari

Rispetto a quelli geostazionari, i satelliti in orbita polare offrono una vista più globale della Terra (permettono infatti anche l’osservazione delle zone polari) e vengono quindi impiegati soprattutto in missioni di telerilevamento e sorveglianza. Un satellite polare segue un’orbita con un’inclinazione di quasi 90 gradi rispetto all’Equatore, ad un’altezza compresa fra i 700 e gli 800 chilometri (figura 5).

Mentre il satellite si muove da Nord a Sud lungo la sua orbita, la Terra si muove essa stessa ruotando da Ovest verso Est. Il risultato è che il satellite riesce poco a poco a scandire tutta la superficie terrestre, come se stesse sbucciando un’arancia (figura 6).

Le orbite polari sono generalmente eliosincrone (“sun-synchronous”) cioè tali che il satellite sorvoli una stessa località alla stessa ora solare ogni giorno, durante tutte le stagioni dell’anno. Questa caratteristica è molto importante nelle missioni di osservazione della superficie terrestre, perché permette di raccogliere dati scientifici nelle stesse condizioni e di confrontarli in modo consistente su lunghi periodi di tempo.

Orbite LEO (“Low Earth Orbit”)

Quando un satellite orbita intorno alla Terra ad un’altezza inferiore ai 2000 chilometri, si dice che è in un’orbita bassa (“Low Earth Orbit”). Tipicamente i satelliti LEO si trovano ad altezze variabili fra i 300 e gli 800 chilometri. Al di sotto dei 300 chilometri, comincerebbe a farsi sentire l’attrito con l’atmosfera, seppure estremamente rarefatta a quelle quote, e come conseguenza il satellite verrebbe ad essere progressivamente rallentato ed a perdere quota, fino a disintegrarsi nell’impatto con gli strati più densi dell’atmosfera.
Come definito dalle leggi di Keplero, i satelliti LEO, orbitando molto vicini alla Terra, viaggiano a velocità molto elevate (circa 30000 chilometri all’ora) e compiono un giro completo intorno al pianeta in circa 90 minuti.
Rispetto ai satelliti geostazionari, i satelliti LEO hanno il grande vantaggio di sorvolare la superficie terrestre a bassa quota; ciò li rende ideali per missioni di telerilevamento (“Remote Sensing”) e di sorveglianza militare. Il costo del lancio è inoltre molto più contenuto. Nelle applicazioni per telecomunicazione, pesa a favore dei LEO la ridotta distanza dalla stazione terrestre (ricordiamo che l’attenuazione delle onde radio è inversamente proporzionale al quadrato della distanza): ciò permette collegamenti radio con potenze molto ridotte ed antenne relativamente semplici; si comprende quindi il motivo per il quale l’orbita LEO sia così diffusa tra i satelliti radioamatoriali.
Anche gli svantaggi dell’orbita LEO sono però numerosi. Innanzitutto, un satellite LEO è visibile ad una stazione terrestre solo per pochi minuti (il raggio dell’area di visibilità varia fra i 3000 e i 4000 chilometri), durante i quali si muove velocissimo da una parte all’altra dell’orizzonte. L’antenna di terra deve quindi essere continuamente ripuntata verso di esso, pena la perdita del collegamento. Sempre a causa dell’alta velocità di rotazione, il collegamento radio con un satellite LEO è affetto da un fortissimo effetto Doppler (variazione della frequenza di ricezione in funzione della velocità relativa fra satellite e stazione), che deve essere compensato in qualche modo (manualmente, con tecniche di inseguimento automatico della portante o attraverso una compensazione basata sulla conoscenza accurata dell’orbita).
L’utilizzo dei satelliti LEO nell’ambito delle telecomunicazioni è stato per molto tempo limitato ad applicazioni nelle quali si potevano accettare i lunghi periodi durante i quali il satellite non è in vista. Negli ultimi anni si è diffuso un approccio alternativo, basato sull’aumento di visibilità che si ottiene mettendo in orbita più satelliti ed utilizzando differenti piani orbitali. Costellazioni di satelliti LEO sono state utilizzate per fornire servizi di telefonia mobile con una copertura globale della Terra (fra i più noti, i sistemi Globalstar ed Iridium).

Orbite MEO (“Medium Earth Orbits”)

Le orbite MEO sono orbite circolari ad un’altezza di circa 10000 chilometri. Il loro periodo orbitale è di circa 6 ore. Il tempo massimo durante il quale un satellite in orbita MEO è al di sopra dell’orizzonte locale per un osservatore sulla superficie terrestre è dell’ordine di alcune ore. Una costellazione di satelliti MEO in grado di fornire una copertura globale richiede un numero ridotto di satelliti (da 10 a 12), disposti su due o tre piani orbitali.
Il sistema MEO più famoso è il Global Positioning System (GPS) del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, sistema di radio-navigazione che permette ad utenti ovunque situati di determinare con altissima precisione posizione, velocità e tempo assoluto (figura 7).

Orbite HEO (“Highly Elliptical Orbits”)

Le orbite HEO, cioè orbite altamente ellittiche, furono inizialmente utilizzate dai Russi per fornire servizi di telecomunicazione nelle regioni sub-polari, altrimenti non raggiungibili con satelliti geostazionari. I satelliti HEO hanno un perigeo (punto dell’orbita più vicino alla Terra) a circa 500 chilometri d’altezza ed un apogeo (punto dell’orbita più lontano dalla Terra) che raggiunge i 50000 chilometri. Le orbite sono quindi marcatamente ellittiche, inclinate di 63,4 gradi rispetto all’Equatore. A causa dell’alta eccentricità dell’orbita, il satellite si troverà per circa due terzi del periodo orbitale in prossimità dell’apogeo, e durante questo periodo sembrerà praticamente stazionario ad un osservatore sulla Terra. Posizionando l’apogeo dell’orbita in modo appropriato, si può quindi riuscire a far corrispondere la copertura del satellite con l’area d’interesse. Il sistema russo Molniya è ad esempio progettato per coprire la Siberia. E’ evidente che per garantire la continuità del servizio quando il satellite è al perigeo, si devono prevedere più satelliti, opportunamente spaziati, che viaggiano sulla stessa orbita, in modo tale che almeno uno di essi sia sempre in prossimità dell’apogeo. Le orbite HEO soffrono in qualche modo sia degli svantaggi delle orbite GEO che di quelli delle orbite LEO. Come nei satelliti geostazionari, la grande distanza fra satellite e Terra pesa sul ritardo di propagazione e sulla potenza RF necessaria al collegamento. Analogamente ai satelliti LEO, anche i collegamenti radio con satelliti HEO sono affetti da un non trascurabile effetto Doppler.

martedì 3 febbraio 2009

Misurare la lunghezza di un cavo coassiale con un multimetro digitale


Navigando su Internet con occhio vigile si ha spesso l’occasione di cogliere idee e spunti veramente interessanti. A me è successo ad esempio d’imbattermi nella pubblicità di un multimetro digitale per misure su linee telefoniche, nella quale si descriveva l’uso della funzione capacimetro per determinare la lunghezza del tratto di linea, specificatamente una “twisted pair”, cioè il classico doppino telefonico (rif. 1).
La cosa mi ha subito interessato e, con l’aiuto di un motore di ricerca, ho approfondito l’argomento. Ho trovato numerosi altri riferimenti a misure analoghe ed in particolare un breve articolo di un ingegnere dell’Agilent Technologies (una volta si chiamava Hewlett-Packard) che spiegava l’arcano con poche, semplici argomentazioni (rif. 2).
Ho deciso a questo punto di diffondere anch’io la piccola, ma interessante novella, anche perché mi dava l’occasione di trattare alcuni aspetti teorici basilari sulle linee di trasmissione.
A proposito di linee di trasmissione, bisogna innanzitutto dire che di esse ne esistono due famiglie fondamentali: alla prima appartengono le guide d’onda, alla seconda i cavi coassiali (linee TEM).
Le differenze fra queste due famiglie sono fondamentali e coinvolgono il comportamento del campo elettromagnetico e la modalità di trasmissione dell’onda elettromagnetica. Senza però dover risolvere le equazioni di Maxwell, è possibile fare riferimento ad una caratteristica peculiare che ci permette quasi a vista d’occhio di distinguere una linea di trasmissione da un’altra e di predirne alcuni comportamenti fondamentali.
Si dà infatti il caso che tutte le linee di trasmissione appartenenti alla famiglia delle giude d’onda abbiano un comportamento in frequenza di tipo passa-alto, cioè trasmettono bene l’onda al di sopra di una certa frequenza (detta frequenza di taglio o di “cut-off”), mentre sono dei circuiti praticamente aperti a frequenze inferiori ad essa.
I cavi coassiali e tutte le linee di trasmissione ad essi simili hanno invece un comportamento di tipo passa-basso, cioè trasmettono bene onde a frequenze basse (incluse quelle a frequenza zero, cioè la continua o DC), mentre all’aumentare della frequenza la loro attenuazione cresce, fino a diventare infinita.
Detto in termini ancora più semplici: con una guida d’onda non riusciremo mai a connettere una lampadina all’impianto elettrico di casa o ad una batteria; con un cavo coassiale invece sì.
La spiegazione fisica è semplice e non richiede lauree in fisica teorica. I cavi coassiali (ma anche i doppini, le microstrisce, le piattine bifilari, ecc.) hanno due conduttori distinti ed è quindi possibile connetterli ai due poli di una batteria o di un alimentatore.
La guida d’onda, invece, di conduttore ne ha uno solo: provate un po’ voi a connettere i due poli di un carico con i due poli di un alimentatore attraverso una guida!
Avendo fatto i necessari distinguo, c’è ora una caratteristica delle linee appartenenti alla famiglia dei cavi coassiali che merita la nostra attenzione, in quanto alla base del metodo di misura che mi accingo a descrivere.
Essa consiste nel fatto che la capacità per unità di lunghezza di una tale linea di trasmissione non dipende dalla frequenza, ma solo dalla sua geometria, cioè dal tipo di linea e dalle sue dimensioni.
Nel caso di un cavo coassiale, ad esempio, la formula che fornisce la capacità per unità di lunghezza è:


C [F/m] = 2*p*e/ ln (D/d)

dove:

  • C è la capacità della linea per unità di lunghezza, espressa in Farad per metro;
  • p è il buon vecchio pi greco (alias 3,14) di scolastica memoria;
    e (epsilon) è la costante dielettrica del materiale di cui è composto il coassiale;
  • ln è il simbolo di logaritmo naturale (se ce l’avete sulla vostra calcolatrice bene, altrimenti non vi preoccupate, che tanto non serve);
  • d ed D sono rispettivamente il diametro del conduttore esterno e quello del conduttore interno del coassiale (fig. 1).
Avendo la pazienza di fare un po’ di calcoli (ovvero andando a sbirciare nella tabella che vi presenterò più avanti) si ottiene che per un cavo RG-58 la capacità per unità di lunghezza è pari a 94,5 pF al metro.
Come si vede la capacità per unità di lunghezza è effettivamente indipendente dalla frequenza, ma funzione solo della geometria della linea (il rapporto b/a).
Più lungo è il cavo, maggiore la sua capacità, essendo quest’ultima direttamente proporzionale alla lunghezza complessiva. Ed essendo la capacità totale indipendente dalla frequenza, potrò misurarla con un qualunque capacimetro, non necessariamente con un costoso strumento adatto per VHF, UHF o microonde.
A questo punto ci viene in mente che anche il nostro multimetro digitale (DMM), comprato alla fiera del radioamatore per 10 euro, ha la funzione capacimetro.
Andandosi a leggere le caratteristiche tecniche, si scopre che lo strumento misura la capacità su cinque scale di misura, da 2 nF a 20 microF, con una risoluzione di 1 pF sulla portata più bassa ed un’accuratezza, sulla stessa portata, di 50 pF a fondo scala (che vi aspettavate per 10 euro?).
Questo significa che sulla portata più bassa si può misurare una lunghezza di cavo RG-58 pari a circa 21 metri, con un’accuratezza di circa mezzo metro: non male!
Sulla portata successiva, quella da 20 nF fondo scala, si potranno poi misurare cavi lunghi fino a 200 metri, con un’accuratezza però proporzionalmente inferiore (circa 5 metri).
Per poter effettuare la misura, bisogna innanzitutto essere sicuri che il cavo da misurare non sia connesso ad alcuna sorgente in continua o RF. Altra condizione essenziale affinché il metodo descritto funzioni è che l’estremità dello spezzone di cavo da misurare sia un circuito aperto. Questa condizione sembrerebbe escludere la possibilità di misurare tratti di cavo già installati e collegati ad un’antenna esterna. In realtà alla bassissima frequenza alla quale la misura viene eseguita l’impedenza dell’antenna è equiparabile molto spesso ad un circuito aperto. Conviene comunque fare delle prove e non dare nulla per scontato.
Per comodità d’uso, riporto nella Tabella 1 la capacità per unità di lunghezza di alcune delle linee di trasmissione più comunemente usate nella pratica amatoriale e radiantistica.



Un ultimo suggerimento: sperimentate! Il metodo appena descritto è stato utilizzato anche per misurare lunghi tratti di piattina bipolare, del tipo utilizzato per alimentare i diffusori acustici di un impianto hi-fi. Se non conoscete la capacità per unità di lunghezza, la potete determinare misurando la capacità totale di un tratto di lunghezza nota.

Riferimenti
1. Trend Communications, “DMM Testing: understanding advanced DMM measurements for effective local loop testing”, www.trendcomms.com
2. R. Duffy, “Measure open-circuited cables using a multimeter”, EDN, 26/9/2002 (www.edn.com)