Un doveroso ringraziamento ai nostri "ispiratori"

Si sente a volte la necessità (direi quasi il dovere) di condividere le proprie esperienze, conoscenze e passioni.
Nell'ambito della scienza e della tecnica si è sempre ben consci della propria ignoranza, ma si avverte al tempo stesso l'importanza di comunicare quanto si conosce agli altri, soprattutto ai più giovani e meno esperti.
La cosa più importante poi non risiede in quelle poche schegge di esperienza che si riescono a condividere, quanto nella passione che ci ha permesso di acquisirle.
Trasmettere una scintilla di quella passione è tanto difficile quanto fondamentale.
Ognuno di noi ha avuto uno o più ispiratori che ci hanno istradato lungo il cammino di un "hobby" o di una professione.
Io dovrei ricordare l'amico conosciuto al mare che mi disegnò su un foglio di carta da lettera (che ancora conservo) lo schema e le istruzioni per costruire la mia prima radio "a galena" (in realtà utilizzava un bel diodo al germanio OA81 che ancora conservo gelosamente) e tanti, tanti altri, amici, conoscenti e colleghi, che hanno segnato la mia vita fornendomi idee ed ispirazione.

Non posso tuttavia non menzionare particolarmente un signore che, pur non avendolo io mai incontrato, ha influenzato più di tutti la mia vita e che rimane tuttora un riferimento ed un modello ideali: Guglielmo Marconi.

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

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sabato 22 ottobre 2011

Galileo è in orbita!

21 ottobre 2011: i primi due satelliti della costellazione Galileo vengono messi in orbita dal centro spaziale di Kourou, nella Guiana francese.

giovedì 6 ottobre 2011

"Stay Hungry. Stay Foolish"



Il discorso di Steve Jobs ai neo-laureati dell'università di Stanford il 12 giugno 2005.

"Sono onorato di essere qui con voi oggi alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato. Anzi, per dire la verità, questa è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Tutto qui, niente di eccezionale: solo tre storie.

La prima storia è sull’unire i puntini.


Ho lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi circa prima di lasciare veramente. Allora, perché ho mollato?

E’ cominciato tutto prima che nascessi. Mia madre biologica era una giovane studentessa di college non sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva con determinazione che avrei dovuto essere adottato da laureati, e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Però quando arrivai io loro decisero all’ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una bambina. Così quelli che poi sono diventati i miei genitori adottivi e che erano in lista d’attesa, ricevettero una chiamata nel bel mezzo della notte che gli diceva: “C’è un bambino, un maschietto, non previsto. Lo volete voi?” Loro risposero: “Certamente”. Più tardi mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata al college e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accetto di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato al college.

Diciassette anni dopo andai al college. Ma ingenuamente ne scelsi uno altrettanto costoso di Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori finirono per pagarmi l’ammissione e i corsi. Dopo sei mesi, non riuscivo a vederci nessuna vera opportunità. Non avevo idea di quello che avrei voluto fare della mia vita e non vedevo come il college potesse aiutarmi a capirlo. Eppure ero là, che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano messo da parte lavorando per tutta la loro vita. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo che mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a capitare nelle classi che trovavo più interessanti.

Non è stato tutto rose e fiori, però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ed ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Guadagnavo soldi riportando al venditore le bottiglie di Coca cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito e poter comprare da mangiare. Una volta la settimana, alla domenica sera, camminavo per sette miglia attraverso la città per avere finalmente un buon pasto al tempio Hare Krishna: l’unico della settimana. Ma tutto quel che ho trovato seguendo la mia curiosità e la mia intuizione è risultato essere senza prezzo, dopo. Vi faccio subito un esempio.

Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la miglior formazione del Paese relativamente alla calligrafia. Attraverso tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con calligrafie meravigliose. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito la classe di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai dei caratteri serif e san serif, della differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, di che cosa rende grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di offrire, perché era artistico, bello, storico e io ne fui assolutamente affascinato.

Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare una applicazione pratica nella mia vita. Ma poi, dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh, mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. E’ stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato il college e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare quel corso di calligrafia e i persona computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all’epoca in cui ero al college era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.

Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi all’indietro. Così, dovete aver fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa – il vostro ombelico, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita.



La mia seconda storia è a proposito dell’amore e della perdita

Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Woz e io abbiamo fondato Apple nel garage della casa dei miei genitori quando avevo appena 20 anni. Abbiamo lavorato duramente e in 10 anni Apple è cresciuta da un’azienda con noi due e un garage in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre quattromila dipendenti. L’anno prima avevamo appena realizzato la nostra migliore creazione – il Macintosh – e io avevo appena compiuto 30 anni, e in quel momento sono stato licenziato. Come si fa a venir licenziati dall’azienda che hai creato? Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che ritenevo avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda insieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, il Board dei direttori si schierò dalla sua parte. Quindi, a 30 anni io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il principale scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa cosa.

Non ho saputo davvero cosa fare per alcun imesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me – come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce e tentai di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa lentamente cominciò a crescere in me: ancora amavo quello che avevo fatto. L’evolvere degli eventi con Apple non avevano cambiato di un bit questa cosa. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo.

Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la miglior cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creatvi della mia vita.

Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT e poi un’altra azienda, chiamata Pixar, e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film in animazione digitale, Toy Story, e adesso è lo studio di animazione più di successo al mondo. In un significativo susseguirsi degli eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è nel cuore dell’attuale rinascimento di Apple. E Laurene e io abbiamo una meravigliosa famiglia.

Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. E’ stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ti colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovare quel che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realimente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non l’avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E, come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare sino a che non lo avrete trovato. Non vi accontentate.

La mia terza storia è a proposito della morte

Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava più o meno così: “Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente una volta avrai ragione”. Mi colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è “no” per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato.

Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della vita. Perché quasi tutte le cose – tutte le aspettative di eternità, tutto l’orgoglio, tutti i timori di essere imbarazzati o di fallire – semplicemente svaniscono di fronte all’idea della morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.

Più o meno un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente di tipo incurabile e che sarebbe stato meglio se avessi messo ordine nei miei affari (che è il codice dei dottori per dirti di prepararti a morire). Questo significa prepararsi a dire ai tuoi figli in pochi mesi tutto quello che pensavi avresti avuto ancora dieci anni di tempo per dirglielo. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire i tuoi “addio”.

Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso lo stomaco sino agli intestini per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del mio tumore. Ero sotto anestesia ma mia moglie – che era là – mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro al pancreas molto raro e curabile con un intervento chirurgico. Ho fatto l’intervento chirurgico e adesso sto bene.

Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche la più vicina per qualche decennio. Essendoci passato attraverso posso parlarvi adesso con un po’ più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi:

Nessuno vuole morire. Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E anche che la morte è la destinazione ultima che tutti abbiamo in comune. Nessuno gli è mai sfuggito. Ed è così come deve essere, perché la Morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della Vita. E’ l’agente di cambiamento della Vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico ma è la pura verità.

Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. E’ stata creata da Stewart Brand non molto lontano da qui, a Menlo Park, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo tocco poetico. E’ stato alla fine degli anni Sessanta, prima dei personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fato con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. E’ stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni.

Stewart e il suo gruppo pubblicarono vari numeri di The Whole Earth Catalog e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: “Stay Hungry. Stay Foolish.”, siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio. Stay Hungry. Stay Foolish. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, lo auguro a voi.

Stay Hungry. Stay Foolish.

Grazie a tutti."

giovedì 1 settembre 2011

Esplorando il futuro, senza temere il cambiamento

“Qual è stato e quale presumibilmente sarà il ruolo della fantascienza nello sviluppo della scienza e della tecnologia, particolarmente nell’ambito spaziale?”
Per poter rispondere a questa ambiziosa e complessa domanda, si dovrebbe logicamente dare prima risposta a quella, ancor più ambiziosa e complessa: “Che cos’è la fantascienza?”
La fantascienza è innanzi tutto uno stile letterario, i cui confini sono peraltro alquanto controversi, ma ha anche forti influenze sulle industrie televisiva e cinematografica, costituendo quindi un fenomeno mediatico di non trascurabile portata (si pensi al successo della serie televisiva “Star Trek” o della saga cinematografica “Star Wars”).
Ritornando alla domanda iniziale, si farà riferimento a quattro maestri della fantascienza che hanno contribuito, anche attraverso il cinema, a forgiare il nostro immaginario collettivo e la mitologia tecnologica della nostra cultura: Arthur C. Clarke, Isaac Asimov, Philip K. Dick e Fritz Lang.
Questi quattro maestri (i primi tre scrittori, l’ultimo regista) hanno tutti, seppur con stili e punti di vista differenti, delineato futuri possibili nei quali lo spazio costituisce l’“ultima frontiera” e l’esplorazione del cosmo risponde all’anelito umano verso la conoscenza.
Sessantasei anni fa, Arthur C. Clarke, un allora oscuro tecnico radar della RAF, membro della British Interplanetary Society (un’associazione di sognatori appassionati di fantascienza e di voli spaziali), inviò all’editore della rivista inglese Wireless World una lettera intitolata “Peacetime Uses for V2” (“Usi pacifici della V2”). Era il 1945 e l’Inghilterra era appena uscita dal secondo conflitto mondiale, durante il quale i missili tedeschi V2 avevano costituito l’incubo delle popolazioni civili. La lettera anticipava in modo semplice e chiaro la possibilità di utilizzare la tecnologia missilistica per mettere satelliti in orbita intorno alla Terra, già preconizzando satelliti in orbita geostazionaria per applicazioni di telecomunicazione:
“ Vorrei concludere menzionando una possibilità per un futuro più remoto (forse fra cinquanta anni). Un satellite artificiale alla corretta distanza dalla Terra compierebbe una rivoluzione ogni 24 ore, rimarrebbe cioè stazionario sopra la stessa posizione ed in grado di coprire quasi metà della superficie terrestre. Tre stazioni ripetitrici a bordo di rispettivi satelliti, spaziate di 120 gradi sulla corretta orbita, potrebbero quindi distribuire televisione e comunicazioni a frequenze microonde all’intero pianeta.”
Queste poche righe possono oggi sembrarci ovvie e banali. Vale la pena riflettere, tuttavia, sul fatto che esse furono scritte tredici anni prima del lancio del primo satellite artificiale, Sputnik 1.
In seguito Clarke scrisse un articolo molto più dettagliato che intitolò “The Future of World Communications”. L’editore di Wireless World lo pubblicò nel numero di ottobre 1945 cambiandone il titolo in “Extra-Terrestrial Relays”. Tutto il resto, si potrebbe dire, è storia. Ai nostri giorni, ci sono più di 300 satelliti operativi in orbita geostazionaria ed i loro servizi pervadono la nostra vita quotidiana, dalle telecomunicazioni digitali alle previsioni meteorologiche ed alle trasmissioni televisive.
C’è quanto basta per rendere un uomo famoso ed iscriverlo nel libro della Storia. Arthur C. Clarke, tuttavia, oltre a tante opere letterarie e di divulgazione scientifica, rimarrà anche famoso per averci regalato, insieme ad un altro genio, il regista Stanley Kubrik, un sogno sul futuro dell’umanità che fa ormai parte del nostro immaginario collettivo: quello descritto nel film “2001: odissea nello spazio”.
C’è un altro riconoscimento che ancora non è stato ufficialmente riconosciuto a Sir Arthur C. Clarke: quello di inventore “ante litteram” di Internet e del World Wide Web (Tim Berners-Lee non ci voglia alcun male). Come recentemente sostenuto dallo stesso Clarke in una lettera ad una rivista dello IEEE (“Institute of Electrical and Electronic Engineers”) e modestamente fatto notare da chi scrive alcuni anni prima, nell’ormai lontano 1963 egli pubblicò un racconto breve intitolato “Chiamata per l’homo sapiens” (“Dial F for Frankstein”, nella versione originale inglese). In questo scritto Clarke paventava, con intuizione quasi visionaria, un non lontano futuro nel quale per la prima volta tutti i calcolatori del mondo sarebbero stati connessi tra loro attraverso la rete telefonica; si sarebbe così venuta a creare un’enorme mente artificiale planetaria, che non avrebbe tardato a dare dimostrazione dei suoi poteri.
L’incubo futuristico di Clarke si è realizzato ai nostri giorni, attraverso Internet ed il World Wide Web, anche se in forme e modalità imprevedibili, trascendenti anche la più fervida immaginazione.
Un’ultima, sorprendente scoperta è emersa recentemente dall’epistolario di Arthur Clarke: nel 1956, in una lettera scritta ad un amico, preconizzava un sistema di radionavigazione globale basato su una costellazione di satelliti in orbita. Si può quindi affermare che egli predisse anche i sistemi globali di navigazione satellitare, quali GPS, Glonass e Galileo.
Con uno stile letterario differente da quello di Clarke, ma sempre improntato ad una stretta aderenza a criteri di credibilità tecnologica e scientifica, Isaac Asimov, altro grande maestro della fantascienza, ci ha donato saghe indimenticabili, sia per la loro grandiosità che per la loro acuta preveggenza, quali il ciclo della Fondazione e quello dei Robot. Le ormai universalmente famose “Tre leggi della robotica”, da lui formulate insieme a John Campbell nel 1940, costituiscono un primo tentativo di immaginare un futuro nel quale l’Umanità dovrà saper convivere con i prodotti, sempre più sofisticati, della propria stessa tecnologia.
Autore controverso e spesso contraddittorio (ma sempre geniale), Philip K. Dick ha concentrato la propria opera letteraria sugli impatti culturali e sociologici che la tecnologia avrà nei nostri possibili futuri. La trasposizione cinematografica delle sue opere, per lo più postuma, si è rivelata un grande successo commerciale ed alcuni film sono degli autentici capolavori (primo fra tutti “Blade Runner”, che contende a “2001: Odissea nello spazio” il posto di miglior film di fantascienza mai prodotto). Il tema delle opere di Dick, sempre soffuso di un più o meno marcato pessimismo, è quello della realtà, che il progresso tecnologico rende sempre più complessa ed in rapida evoluzione, mentre la nostra comprensione di essa diventa, parallelamente, sempre più difficile e non univoca.
Perché infine includere Fritz Lang, un grande regista del cinema muto, fra i maestri della fantascienza? Non solo per il suo notissimo capolavoro “Metropolis”, ma anche e soprattutto per il meno noto film muto “Frau Im Mond” (“Donna sulla Luna”). Questo film è unanimemente considerato il primo "serio" film di fantascienza ed ha di sicuro ispirato Wernher von Braun durante tutte le sue ricerche, fino allo sbarco dell'uomo sulla Luna.
"Frau Im Mond” fu girato da Lang nel 1929 con la consulenza di Hermann Oberth, uno dei padri della missilistica e dell'astronautica, che fu proprio il maestro (poi capo e collaboratore) di von Braun.
Il film introdusse per la prima volta l'idea del "conto alla rovescia"("count-down") durante il lancio di un razzo. L'idea, introdotta per creare la necessaria atmosfera drammatica al momento del lancio, fu poi adottata nella realta' e fa ormai parte dell'immaginario collettivo legato alle imprese spaziali.
Il film prospettava inoltre per la prima volta l'utilizzo di propellente liquido ed il concetto di razzo a due stadi. Mostrava poi con sufficiente realismo gli effetti dell'assenza di gravita' a bordo di una navicella spaziale.
Alla luce degli autori appena citati, è evidente che la fantascienza odierna è andata ben oltre lo spirito illuminista e positivista dei romanzi scientifici, peraltro indimenticabili, di Jules Verne.
Oggi la fantascienza si pone di fronte alla tecnologia con un atteggiamento misto di aspettativa e timore.
Quando si dice che le tecnologie, particolarmente quelle dell’informazione e della comunicazione, stanno cambiando in modo radicale ed irreversibile la nostra società, si attesta un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti.
Ci sono fattori obiettivi che fanno di questa nostra svolta epocale un “unicum”: la portata veramente globale delle trasformazioni in atto e la circostanza che per la prima volta nella storia questo cambiamento abbia una così stretta ed intima relazione con la conoscenza umana, in tutte le sue forme.
La portata globale dei fenomeni umani comporta inoltre una drastica contrazione dei tempi. E’ come se la scala dei tempi della nostra esistenza abbia cambiato unità di misura, come se ciò che prima avveniva in anni avvenga ora nel giro di mesi o addirittura giorni. Questo fenomeno è reso probabilmente più visibile dal parallelo allungamento della vita media degli individui.
Si sperimenta quella che viene definita come “un’accelerazione della storia” ed è necessario chiedersi quanto, a queste modificazioni delle strutture politiche, economiche e sociali, corrisponda una parallela evoluzione della capacità della mente umana di adattarsi ad esse.
L’aspetto profetico, la facoltà di prevedere il futuribile (futuro possibile), non è il contributo più importante della fantascienza. Come lo stesso Asimov afferma:

“Ciò che è invece importante, addirittura decisivo nella fantascienza, è l’elemento stesso che ne ha determinato la nascita: l’intuizione di come la tecnologia generi cambiamento.”

Da questo punto di vista, la fantascienza ci invita a pensare in modo strategico (se ne dovrebbe consigliare la lettura agli uomini politici, non solo italiani), ad affrontare la realtà con approccio sistemico.
La sfida che ci attende è quella di riuscire a far convivere i valori della Tradizione, cioè i valori archetipici (spirituali, culturali, artistici) dell’essere umano con la realtà di un futuro in continuo e radicale cambiamento, sotto la spinta incalzante del progresso tecnologico.
La fantascienza ci ricorda, in ultima analisi, che il futuro ci appartiene, è in larga parte nelle nostre mani: noi lo forgiamo con le nostre azioni (con le nostre idee, direbbe John Maynard Keynes) e possiamo tendere ad un paradiso di conoscenza, benessere e giustizia sociale o ad un inferno di appiattimento materialistico, distruzione dell’ambiente e totalitarismo globale.
Da ultimo, ma non meno importante, rimane alla fantascienza il suo ruolo di generatrice di miti, la sua azione mitopoietica. Mentre una volta poeti e cantori collocavano le loro storie in un passato inaccessibile, oscuro ed allo stesso tempo favoloso, gli odierni poeti dell’immagine televisiva ed i cantori del cinema contemporaneo pongono le loro storie in un ugualmente inaccessibile futuro, promettente ma anche foriero di incertezze e timori.
Il progresso tecnologico ha pertanto spostato il centro di gravità del nostro immaginario collettivo dal passato al futuro. E non a caso, come nel passato l’anelito tutto umano verso l’avventura e l’ignoto ispirava Omero a narrare le peripezie dei reduci dalla guerra di Troia, oggi l’Odissea è nello spazio ed Ulisse è un astronauta.

giovedì 9 giugno 2011

Sputnik-1 e la nascita della navigazione spaziale

4 ottobre 1957: alle ore 19.28:34 GMT un razzo russo si staccava da una rampa di lancio nel cosmodromo di Baikonour.
5 minuti e 24 secondi dopo, Sputnik 1 si separò dallo stadio finale per diventare il primo satellite artificiale della Terra.
L’Era Spaziale era cominciata.



1. Introduzione
La tecnologia spaziale è entrata talmente nel nostro vivere quotidiano (dalle parabole per la ricezione della televisione satellitare ai navigatori satellitari ormai presenti in molte delle nostre autovetture) che ci siamo completamente assuefatti ad essa: non ci sorprende più, non fa notizia. E ci dimentichiamo che, se oggi diamo per scontati i viaggi su Marte e le foto da satellite su Internet, questo lo dobbiamo all’entusiasmo ed all’ingegno di migliaia di tecnici, ingegneri e scienziati.
Nel giro di una dozzina di anni, dal 1957 al 1969, si ebbe, pur se sotto la sferza di una competizione ideologica e politica senza quartiere, un’evoluzione tecnica e scientifica senza precedenti, dei cui positivi risultati ancora ci avvantaggiamo a distanza di mezzo secolo. Fino al 4 ottobre 1957 l’umanità non era riuscita ad allontanarsi più di cento chilometri dalla superficie del pianeta; meno di dodici anni dopo, il primo uomo posava il piede sul suolo della Luna.
Ed al di là delle strategie politiche e militari dei loro governanti, tecnici, ingegneri, scienziati e, successivamente, astronauti, furono animati da quello stesso spirito che spinse nel 1492 un navigatore geniale ed intrepido ad affrontare le acque dell’oceano alla ricerca di un continente sconosciuto.

2. Una competizione “scientifica”
Tutto cominciò apparentemente come una competizione scientifica: nell’agosto del 1955 alcuni scienziati sovietici, durante un congresso astronomico internazionale a Copenhagen, avevano annunciato che durante l’Anno Geofisico Internazionale (la cui durata era stato fissata in effetti dal primo luglio 1957 al 31 dicembre 1958, in corrispondenza del massimo di attività del ciclo undecennale del Sole) l’Unione Sovietica avrebbe lanciato un manufatto umano in orbita intorno alla Terra. Neanche a farlo apposta, il presidente americano aveva rilasciato un’analoga dichiarazione qualche giorno prima (il programma del primo satellite americano si sarebbe poi chiamato Vanguard).
I sovietici si stavano di fatto preparando già da alcuni anni. Nel 1951 infatti era cominciato il programma per sviluppare lanciatori in grado tanto di mettere un satellite artificiale in orbita quanto di spedire una bomba atomica in un altro continente. Il gruppo di tecnici ed ingegneri russi era diretto da Sergey P. Korolev, la cui identità fu rivelata al pubblico ed alla storia solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1966 (Korolev è anche noto per aver concepito il lanciatore Soyuz, cavallo di battaglia delle missioni spaziali russe, tuttora in uso).



Nel 1954 il primo missile balistico intercontinentale sovietico, “Raketa-7” o “R-7”, era pronto (“Raketa” in russo significa appunto missile).
Il Raketa-7 non era un razzo multistadio, ma aveva quattro “booster” laterali, montati intorno ad un motore centrale. Tutti e cinque i motori erano a propellente liquido. Il Raketa-7 utilizzato per lo Sputnik-1 era alto poco più di 27 metri ed il suo peso al lancio era di 280 tonnellate.

sabato 21 maggio 2011

In memoria del prof. Leschiutta, l'uomo dell'ora esatta



Un ricordo affettuoso e riconoscente al professore ingegnere Sigfrido Leschiutta, recentemente scomparso all'età di 78 anni, dopo una lunga malattia.

Gli amici lo chiamavano affettuosamente “l’uomo del tempo”, “il signore dell’ora esatta”, perché, per decenni, è stato presidente dell’Istituto elettronico nazionale “Galileo Ferraris” di Torino dal quale quotidianamente parte il segnale orario a cui si adeguano tutti gli orologi d’Italia.

Figlio di Gian Ernesto Leschiutta, un friulano tenace che si era fatto da sé (emigrato ragazzo senza arte né parte, aveva poi conseguito quattro lauree, diventando alto dirigente ministeriale) Sigfrido Leschiutta era arrivato giovanissimo a Torino, laureandosi al Politecnico, dove ha poi insegnato dal 1962 al 2007 tenendo corsi su misure radioelettriche e sistemi di trasmissione e telemisure. E’ noto nel mondo scientifico per aver verificato la relatività generale di Einstein, confrontando il comportamento di due orologi atomici, uno collocato a Torino, il secondo in alta montagna. La relatività prevede che dove il campo gravitazionale è minore, gli orologi accelerino: l’esperimento confermò puntualmente questa tesi, fermamente sostenuta da Leschiutta.

Il prof. Leschiutta ha contribuito notevolmente alla formazione in Italia di una cultura ingegneristica sui sistemi di navigazione, in particolare quelli basati su satelliti. Da ricordare, ad esempio, il corso di formazione sui sistemi di navigazione da lui tenuto in Alenia Spazio, alla fine degli anni '90.

Quando i primi due satelliti della costellazione Galileo saranno lanciati, probabilmente alla fine del 2011, dovremo ricordarci di questa grande figura di ingegnere, scienziato ed educatore e ringraziarlo per quanto ci ha lasciato.

Era un uomo che aveva mille interessi, mille passioni, a partire da quella della musica. Inventava strumenti, collezionava vecchie radio (ne aveva un centinaio). In quanto amatore della radio e dell'elettronica in generale, non disdegnava freqeuntare i mercatini per radioamatori, come si vede nella foto seguente.

Pope Benedict XVI Greets International Space Station Crew

It's all about time


(the fourth dimension in technology, systems, projects and our everyday life)



Last year I had the opportunity and privilege to meet one exceptional man, one of those men that really make the history of technology: Dr. Truchard (the mythic Dr. “T”), co-founder and present president and CEO of National Instruments. It was during the event that National Instruments organizes every year in Austin, the so-called NI Week.

Dr. Truchard's speech focus as well as the convention leitmotiv were all about time: time synchronization and real-time systems, time for developing software, time for fast-prototyping, time for innovation and creativity.

Time, the fourth dimension, is becoming ever more important in all aspects of technology and science.
The provision of an accurate time reference is a strategic asset on which most disparate applications depend upon, from financial transactions to broadband communications, from satellite navigation systems to Big Physics.

In a world increasingly dependent on precise measurements, time is soon to become the ultimate unit of reference. In the International System of Units, the second is presently defined as the duration of 9,192,631,770 periods of a phenomenon called microwave transition in an atom of cesium-133. The meter, once the length of a platinum-iridium bar stored in the International Bureau of Weights and Measures (BIPM) in Sèvres, is, since 1983, defined as the path traveled by light in vacuum in 1/299,792,458 of a second, so it is a unit derived from time.

The world regulates clocks and time by a time standard, the Coordinated Universal Time (UTC), which is itself based on the International Atomic Time (TAI). Few people know that an essential contributor to TAI, and so to UTC, is GPS, the American satellite-based navigation system. Soon, however, with the full deployment of Galileo, Europe will become a key contributor to UTC and will be able to broadcast its very accurate time standard to the world.

Time is more and more important also in large systems, especially network-centric systems. These systems rely upon a real-time diffusion of information on a geographically distributed architecture. But time is also the dimension through which technology evolves (as, e.g., per the Moore's law) and obsolescence spreads. Maintenance and refurbishment of obsolete parts are essential aspects in the operational life of a system, and they both deal with time.

Time is finally one of the key objectives of project management, together with cost and performance. While the market asks for new projects, bringing innovative technologies and services to users, to get timely (and successfully) concluded, in reality delays, with associated cost over-run, and failures affect a scaringly high percentage of them.

It is sometimes discouraging to perceive that politicians, managers and engineers are loosing the sense of urgency for keeping projects on schedule and for concluding them on time. More than two thousands years ago, Caesar, facing the need to build, for the first time in hystory, a bridge across the river Rhine, wrote in his “Commentaries on the Gallic War”: “Caesar thought it expedient for him to cross the Rhine (…). He devised this plan of a bridge (...). Within ten days after the timber began to be collected, the whole work was completed, and the whole army led over.”. Much closer to our times, on May 25, 1961, President John F. Kennedy stated in his historic speech to Congress: “I believe that this nation should commit itself to achieving the goal, before this decade is out, of landing a man on the Moon and returning him safely to the Earth.” And on July 20 1969, less than ten years later, the promise was mantained.

And this brings us to the general questions about the importance of time in our own lives. How huge is the amount of time that we waist for trivial and non essential tasks? How could a better management of our time gain us more room for creativity, social relations and pursue of happiness? As you can see, it is not only how much time we can save by better managing our lives, but about the quality of our time and whether it is used to “be” or just to “have”.

In the last decades mankind became increasingly concerned about non-renewable resources, that is resources often existing in a fixed amount and being consumed much faster than nature can create them (e.g fossil fuels, such as coal, petroleum and natural gas). The fact of the matter is, the only truly non-renewable resource we have is time: when it is gone, it is gone forever. So, let us make our lives sustainable, let us care of our most precious asset, our most valuable resource.

“Tempus breve est”, time is short, wrote St. Paul to the Corinthians (2 Cor 5:14). But it is up to us, to our wisdom and professionalism, to have enough time for our realizations, our projects, our lives.

Benjamin Franklin wrote: "If you want to enjoy one of the greatest luxuries in life, the luxury of having enough time, time to rest, time to think things through, time to get things done and know you have done them to the best of your ability, remember, there is only one way. Take enough time to think and plan things in the order of their importance. Your life will take on a new zest, you will add years to your life, and more life to your years. Let all your things have their place."

It is really “time” we do something about it.