Un doveroso ringraziamento ai nostri "ispiratori"

Si sente a volte la necessità (direi quasi il dovere) di condividere le proprie esperienze, conoscenze e passioni.
Nell'ambito della scienza e della tecnica si è sempre ben consci della propria ignoranza, ma si avverte al tempo stesso l'importanza di comunicare quanto si conosce agli altri, soprattutto ai più giovani e meno esperti.
La cosa più importante poi non risiede in quelle poche schegge di esperienza che si riescono a condividere, quanto nella passione che ci ha permesso di acquisirle.
Trasmettere una scintilla di quella passione è tanto difficile quanto fondamentale.
Ognuno di noi ha avuto uno o più ispiratori che ci hanno istradato lungo il cammino di un "hobby" o di una professione.
Io dovrei ricordare l'amico conosciuto al mare che mi disegnò su un foglio di carta da lettera (che ancora conservo) lo schema e le istruzioni per costruire la mia prima radio "a galena" (in realtà utilizzava un bel diodo al germanio OA81 che ancora conservo gelosamente) e tanti, tanti altri, amici, conoscenti e colleghi, che hanno segnato la mia vita fornendomi idee ed ispirazione.

Non posso tuttavia non menzionare particolarmente un signore che, pur non avendolo io mai incontrato, ha influenzato più di tutti la mia vita e che rimane tuttora un riferimento ed un modello ideali: Guglielmo Marconi.

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

Ascolta la voce di Guglielmo Marconi

Visite a questo sito

domenica 28 dicembre 2008

La Marconisfera©

A grande richiesta dovrebbe essere presto pubblicato su Radiokit un mio articolo su "Il Big Bang marconiano e la Marconisfera©".

Il concetto di Marconisfera© fu da me per la prima volta presentato nel 2006 durante un convegno organizzato da Amsat Italia. La presentazione è disponibile in rete a questo indirizzo http://www.amsat.it/marconisfera.pdf.

L'idea non è di fatto completamente originale (il nome però sì) ed è ben descritta nelle scene iniziali del film "Contact", con Jodie Foster, tratto dall'ultimo libro dello scienziato Carl Sagan. Vale la pena di notare, fra i brani di trasmissioni radio e televisive in viaggio nell'universo, anche un breve spezzone della canzone "Volare" di Domenico Modugno.

sabato 20 dicembre 2008

Anatomia di un satellite

Il primo satellite artificiale ad orbitare nello spazio fu lo Sputnik I, lanciato il 4 ottbre 1957 dall’Unione Sovietica. Lo Sputnik era una sfera con un diametro di 58 centimetri e pesava 84 chilogrammi (figura 1). Il suo “bip-bip”, trasmesso sulle frequenze di 20,005 e 40,010 MHz, fu ascoltato da migliaia di radioamatori ed SWL in tutto il mondo. L’era spaziale era cominciata.


Figura 1: Sputnik I, il primo saterllite artificiale

L’era delle comunicazioni spaziali ha però avuto effettivo inizio solo nel 1962, con il lancio del satellite NASA Telstar; questo fu presto seguito dal primo satellite geostazionario per telecomunicazioni commerciali, Early Bird, anche noto come Intelsat I (figura 2).

Figura 2: il primo satellite per telecomunicazioni, Intelsat I (“Early Bird”)

L’infrastruttura delle comunicazioni spaziali cominciò come complemento delle reti terrestri esistenti (per esempio, la rete telefonica o “Public Switched Telephone Network”, PSTN), consistendo principalmente di ripetitori trasparenti (in inglese “bent pipe”, cioè “cavo ripiegato”) che facevano da ponti radio nello spazio trasmettendo voce e dati fra due punti sulla Terra (figura 3).


Figura 3: il satellite è un ponte radio nello spazio

In seguito, queste applicazioni punto-punto (“trunking”) sarebbero state in gran parte soppiantate dalla distribuzione TV e dalla distribuzione diretta di servizi televisivi (“direct-to-home”, DTH).
All’inizio di questa esaltante epopea resta comunque il satellite artificiale, nelle sue varie realizzazioni. Ma che cos’è e come è fatto un satellite artificiale?
In generale, un satellite è un qualunque oggetto che, soggetto alle leggi della fisica newtoniana, orbiti intorno ad un corpo celeste. Ad esempio, la Luna è un satellite della Terra, e la Terra è un satellite del Sole.
In particolare, a noi interessano quegli oggetti fabbricati dall’uomo e che dall’uomo vengono posti in orbita intorno alla Terra, chiamati satelliti artificiali (figura 4).


Figura 4: un tipico satellite per applicazioni commerciali


Ciascuno di questi satelliti è composto di molte parti, che variano a seconda del tipo di applicazione e dell’orbita. Due elementi sono tuttavia comuni a tutti i satelliti e sono chiamati “carico utile” (“payload”) e carrozza (“bus”) (figura5).

Figura 5: gli elementi della carrozza e del carico utile

Il carico utile è l’insieme di tutti gli equipaggiamenti che il satellite necessita per svolgere le sue funzioni. Esso può includere antenne, fotocamere, radar e apparati elettronici. Il carico utile è tipico per ciascun satellite. Per esempio, il carico utile di un satellite meteorologico include fotocamere dotate di telescopi per ottenere immagini delle formazioni nuvolose, mentre il carico utile di un satellite per comunicazioni include antenne di grandi dimensioni per trasmettere segnali telefonici o TV verso la Terra.
Il carico utile di un satellite per telecomunicazioni viene detto ripetitore (“repeater”) o transponditore (“transponder”). I due termini derivano dall’analogia con i ponti radio terrestri. L’architettura di un ripetitore per satellite è di fatto identica a quella di un ripetitore per ponte radio. Nella sua versione più essenziale, essa si compone di un’antenna ad alto guadagno, che riceve il segnale trasmesso da una stazione terrestre; di un amplificatore a basso livello di rumore (“Low Noise Amplifier”, LNA); di un convertitore di frequenza (normalmente la frequenza di ricezione è maggiore di quella di trasmissione, quindi si parla di un “down-converter”); di un amplificatore di potenza (spesso preceduto da un amplificatore pilota o “driver”) e di un’antenna ad alto guadagno in trasmissione.
E’ bene a questo punto ricordare che i collegamenti tra satellite e terra avvengono normalmente nelle bande di frequenza comprese tra 1 e 30 GHz (anche se alcuni satelliti radioamatoriali operano già a 30 MHz e per contro molti satelliti militari raggiungono i 44GHz). Frequenze inferiori ai 30 MHz non sarebbero in grado di “perforare” la ionosfera (quella stessa ionosfera che tanto invece ci è utile nelle comunicazioni terrestri a lunga distanza) e risulterebbero quindi assai poco praticabili.
Alcuni satelliti imbarcano transponditori operanti a varie frequenze. La figura 6, ad esempio, mostra la configurazione del satellite per telecomunicazioni Artemis, realizzato dall’Alenia Spazio per conto dell’Agenzia Spaziale Europea; questo satellite utilizza la banda L (1,5 GHz), la banda S (2,5 GHz), la banda Ka (20 – 30 GHz) ed opera persino un terminale sperimentale per comunicazioni ottiche.


Figura 6: il satellite per telecomunicazioni Artemis

La carrozza è quella parte del satellite che porta il carico utile e tutti i suoi apparati nello spazio. Ha il compito di tenere strutturalmente unite tutte le parti del satellite e di provvedere energia elettrica, elaborazione dati e propulsione. La carrozza contiene anche apparati che permettono al satellite di comunicare dati con le stazioni di controllo terrestri. I dati trasmessi dalla carrozza verso Terra riguardano lo stato lo stato di salute dei vari apparati a bordo e sono detti “telemetrie”. I dati ricevuti da Terra riguardano invece comandi impartiti dalle stazioni di controllo, e sono quindi detti “telecomandi”.
La struttura di una carrozza è un’intelaiatura meccanica realizzata in metallo (di solito alluminio) oppure con materiali avanzati (plastiche speciali e fibra di carbonio). La struttura deve essere abbastanza resistente da sopravvivere indenne alle terribili accelerazioni subite dal satellite al lancio. E’ la struttura inoltre che scherma gli apparati elettronici dalle particelle atomiche e dai raggi cosmici, oltre che da eventuali interferenze elettromagnetiche (RFI).
Sulla struttura sono montati i vari sottosistemi della carrozza: oltre al già citato sottosistema T&C (Telemetria e Comando), i sottosistemi Controllo Termico, Potenza, Controllo di Assetto e di Orbita, Propulsione e Processamento Dati.
Il Controllo Termico svolge l’importante funzione di mantenere la temperatura del satellite entro limiti accettabili. Un satellite in orbita è esposto a temperature estreme: dai meno 120 gradi della parte in ombra ai 180 gradi sopra lo zero della parte esposta al sole, un’escursione termica di 300 (o più) gradi centigradi. Questo sottosistema utilizza riscaldatori (controllo attivo) e vernici, superfici riflettenti, “coperte termiche” (strati di materiale altamente riflettente ed isolante) per mantenere la temperatura degli apparati elettronici entro un’escursione più contenuta (tipicamente da - 20 a +50 gradi centigradi).
Il sottosistema Potenza è composto dei pannelli di celle solari (“Solar Arrays”), delle batterie di accumulatori, degli alimentatori a commutazione (“DC-DC Converters”) e della rete di distribuzione (“Power Bus”). L’energia solare, convertita in elettricità dalle celle fotovoltaiche, è la sorgente primaria di potenza a bordo di un satellite. Raramente, per missioni di esplorazione planetaria, vengono usati generatori nucleari, basati sull’effetto termoelettrico (conversione diretta di calore in elettricità in una termocoppia).
Il sottosistema Controllo di Assetto e di Orbita ha il compito di mantenere le antenne ed i pannelli solari del satellite orientati nella giusta direzione e di mantenere il satellite stesso sulla giusta orbita, compensando eventuali perturbazioni.
Il sottosistema Propulsione si occupa dell’iniezione del satellite nella sua orbita finale (attraverso il cosiddetto motore d’apogeo) e dell’esecuzione delle manovre necessarie per mantenere il satellite nel giusto assetto e sulla corretta orbita. E’ costituito di un serbatoio (“tank”) di propellente liquido (normalmente, Idrazina), di una rete idraulica per la distribuzione dello stesso e di vari motori (“thrusters”), in grado di “bruciare” ed espellere piccole quantità, accuratamente controllate, di propellente.
Ultimo, ma non in termini d’importanza (come dicono gli inglesi, “last, but not least”), il sottosistema Processamento Dati. Questo è un po’ il cervello di tutto il satellite. E’ composto di un computer centrale, di una serie di programmi software molto complessi e di varie unità d’interfaccia verso gli altri sottosistemi del satellite.

Figura 7: uno dei satelliti della costellazione Globalstar


domenica 14 dicembre 2008

Il piccolo Dilbert, radioamatore, da grande diventerà ingegnere (troppo forte!)

"Knack" è una parola inglese per indicare la capacità innata di inventare o realizzare cose ingegnose. Un grazie all'amico Rick Fleeter, K8VK, per avermi segnalato il video.

sabato 13 dicembre 2008

Breve storia della radionavigazione, dagli esperimenti di Marconi alla costellazione Galileo


La nascita della radionavigazione
Il 31 luglio 1934 un articolo del quotidiano inglese Daily Mail (figura 1) iniziava con il seguente titolo:

“UN NUOVO TRIONFO DI MARCONI
Battello guidato dalle onde radio
Navigazione cieca”


Figura 1: l’articolo del Daily Mail del 31 luglio 1934

L’articolo continuava descrivendo il successo degli esperimenti compiuti da Marconi a Sestri Levante, a bordo del suo panfilo-laboratorio Elettra. Si spiegava come Marconi, alla presenza di tecnici, ufficiali della Marina Italiana e Inglese e di numerosi rappresentanti della stampa, avesse utilizzato un radiofaro operante sulla lunghezza d’onda di 60 centimetri (500 MHz), installato lungo la costa ad un’altezza di 100 metri sul livello del mare, per dirigere la navigazione del battello lungo un percorso delimitato da boe.
Il Corriere della Sera testimoniava così l’evento: “Salpando da Santa Margherita, l’ Elettra si è diretta verso Sestri Levante, sul cui promontorio era stato installato il radiofaro. A circa 800 metri da questo si trovavano disposte due boe distanziate tra loro di 100 metri, tra le quali l’ Elettra è passata con grande precisione, guidata unicamente in base ai segnali emessi dal radiofaro.”
In quel giorno di luglio di settanta anni fa vedeva la luce un’invenzione forse meno famosa di quella delle comunicazioni radio, ma che avrebbe salvato migliaia di vite umane e cambiato in modo radicale i trasporti aerei, marittimi, ferroviari ed automobilistici: la radionavigazione, cioè l’utilizzo delle onde radio come ausilio alla navigazione.
Dai primi esperimenti di Marconi la tecnologia si è andata evolvendo con sorprendente velocità, passando dai primi radiofari ai sistemi Decca, Omega, Loran e, più recentemente, ai sistemi satellitari GPS, Glonass e Galileo.

L’uomo e la navigazione

Sin dai tempi preistorici, gli uomini hanno cercato di inventare metodi affidabili per determinare la loro posizione e per ritornare alle loro abitazioni. Gli uomini delle caverne probabilmente usarono pietre e rami secchi per segnare una traccia verso il luogo dove cacciavano le loro prede, nonché montagne o alberi come punti di riferimento. I primi marinai seguivano la costa da vicino per evitare di perdersi in mare aperto. Quando i primi navigatori veleggiarono verso l’oceano, essi scoprirono di poter tracciare il loro percorso seguendo le stelle. Le stelle appaiono differenti da differenti luoghi della Terra, pertanto osservando le stelle i marinai traevano indicazioni sulla direzione da prendere. L’osservazione delle stelle è stato per secoli il metodo principale di navigazione. Sfortunatamente le stelle sono visibili solo di notte (e solo con il bel tempo).
I più importanti sviluppi nella ricerca per il metodo ideale di navigazione furono segnati dall’invenzione della bussola magnetica ed del sestante. L’ago di una bussola punta sempre verso nord (in realtà verso il nord “magnetico”), fornendo quindi a qualunque ora del giorno ed in qualsiasi condizione atmosferica la direzione nella quale si sta procedendo. L’origine della bussola è oscura ed incerta: alcuni dicono che essa sia un’invenzione dei cinesi, altri degli arabi o dei marinai amalfitani. E’ tuttavia abbastanza certo che questo strumento apparve in Europa intorno all’anno mille e che prese la sua forma definitiva nel 1300, ad opera del (forse) mitico Flavio Gioia di Amalfi.
Il sestante usa un sistema di specchi per misurare l’angolo esatto delle stelle, della luna e del sole sopra l’orizzonte. All’inizio comunque era possibile determinare con il sestante solo la latitudine (cioè la posizione sulla Terra misurata a nord o a sud dell’Equatore). I marinai erano ancora incapaci di calcolare la loro longitudine (cioè la posizione sulla Terra a est o ovest di un meridiano di riferimento). Il problema della determinazione della longitudine in mare aperto appassionò per oltre due secoli le menti più illuminate d’Europa e divenne così serio che nel 17° secolo gli inglesi formarono un gruppo di noti scienziati per studiarne la soluzione. Il gruppo offrì ventimila sterline, equivalenti ad un milione di dollari di oggi, a chiunque potesse trovare il modo di determinare la longitudine di una nave in mare aperto con un’accuratezza di trenta miglia nautiche.
La trovata ebbe successo. Nel 1761, infatti, un artigiano autodidatta di nome John Harrison costruì uno speciale orologio meccanico da imbarcare a bordo delle navi, chiamato cronometro marino, in grado di perdere o guadagnare non più di un secondo al giorno (un’accuratezza incredibile per quel tempo!) (figure 2 e 3).


Figura 2 (a sinistra): l’inventore autodidatta John Harrison


Figura 3: i quattro modelli di cronometro marino realizzati da Harrison, i cosiddetti H1, H2, H3 ed H4

Nei due secoli successivi, sestanti e cronometri furono usati in combinazione per ricavare l’informazione sulla latitudine e la longitudine. Si deve tuttavia tenere presente che, specialmente nel corso di lunghi viaggi per mare, era facile accumulare alcuni minuti di errore nella determinazione del tempo; un cronometro con un errore di 4 minuti comporta d’altra parte un errore di un grado di longitudine (equivalente a più di cento chilometri all’Equatore). E’ solo all’inizio del ventesimo secolo che, con l’avvento delle onde radio, si svilupparono vari sistemi di radionavigazione, che furono poi largamente usati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Marconi e la radionavigazione
Il principio della radionavigazione (“Radio Direction Finder”, RDF), basato sull’utilizzo di una sorgente radio per orientare la navigazione di un mezzo mobile (aereo o nave) attraverso l’uso di un’antenna direzionale, era stato inventato dalla Marconi Company nei primi anni del 1900.
Nel 1931 il sistema si era talmente diffuso da diventare obbligatorio per tutte le imbarcazioni di stazza superiore alle 5000 tonnellate.
Sempre nel 1931 Marconi aveva iniziato a sperimentare l’uso delle microonde, conducendo una serie di esperimenti che avrebbero poi portato nel 1932 al primo ponte radio a microonde per collegare telefonicamente la Città del Vaticano con la residenza estiva del Papa, Pio XI, a Castel Gandolfo.
Quasi contemporaneamente, iniziarono a Sestri Levante degli esperimenti che utilizzavano radiofari a microonde per dirigere la navigazione di imbarcazioni in mare (figura 4).


Figura 4: Guglielmo Marconi nella sala radio del panfilo Elettra

La dimostrazione ufficiale del sistema di “navigazione cieca” fu condotta il 30 luglio del 1934, a bordo dello yacht Elettra, alla presenza di numerosi esperti e di rappresentanti inglesi dei Lloyd’s di Londra.
Il panfilo era pilotato da un capitano “neutrale”, il comandante inglese Austin Bates, della compagnia Cunard-White Star Line. Partendo da circa dieci miglia dalla costa, il panfilo si diresse verso Sestri Levante dove due boe erano ancorate nella baia alla distanza di 90 metri e ad 800 metri dalla riva, simulando l’entrata di un porto (figura 5).


Figura 5: l’Elettra nel golfo di Genova, tra Santa Margherita e Sestri Levante

Le finestre della cabina di comando erano ricoperte da spesse tende, per cui il timoniere poteva contare solo sull’ausilio del radiofaro posto su un promontorio a cento metri sul livello del mare. Uno strumento dotato di indicatore ad ago mobile mostrava al timoniere se l’imbarcazione procedeva a sinistra o a destra della rotta che conduceva all’ingresso del porto simulato, rappresentato dalle due boe. Il radiofaro generava anche un segnale acustico in un altoparlante che aiutava a correggere la direzione.
L’esperimento fu ripetuto varie volte e sempre con pieno successo. Anche partendo con un errore di due miglia rispetto alla rotta voluta, il panfilo riuscì a passare esattamente al centro delle due boe. Il comandante Austin Bates, congratulandosi con Marconi, dichiarò: “la navigazione cieca è ora una realtà”.
Marconi salpò subito dopo con l’Elettra per l’Inghilterra, dove la sua invenzione riscosse l’immediata ed entusiastica approvazione dell’ammiraglio Sir Henry Jackson, sovrintendente del Porto di Londra, e fu successivamente brevettata dalla Marconi Company.

Le caratteristiche tecniche dell’esperimento di Marconi

Il radiofaro perfezionato da Marconi dopo tre anni di ricerche consisteva in due riflettori parabolici con i loro rispettivi illuminatori orizzontali alimentati in opposizione di fase da un trasmettitore comune, operante alla frequenza di 500 MHz (lunghezza d’onda di 60 cm).
In questo modo si veniva a creare un nullo molto profondo e ripido nel piano orizzontale (piano di azimuth) del diagramma di radiazione. A questo punto l’intero sistema d’antenna veniva fatto oscillare meccanicamente sul piano orizzontale di più o meno 15 gradi, cosicché il nullo di radiazione stesso copriva un settore circolare di 30 gradi.
Inoltre, il trasmettitore era modulato con due toni distinti, che si alternavano quando la direzione del nullo era esattamente allineata con quella della rotta desiderata.
A bordo dell’Elettra l’antenna ricevente (figura 6) era collegata ad un ricevitore a quattro valvole, modificato in modo da separare con filtri opportuni i due toni a frequenza fissa trasmessi dal radiofaro. L’uscita dei due filtri era quindi applicata ad uno strumento indicatore con zero centrale. In questo modo, l’ago mobile dello strumento deviava a sinistra o a destra (rispettivamente il “babordo” ed il “tribordo” del vascello), a seconda del tono ricevuto in quell’istante.
Solo quando l’antenna del radiofaro deviava verso sinistra e verso destra della stesso angolo, rispetto all’antenna dell’Elettra, l’indicatore mobile si manteneva fisso sullo zero, indicando che si stava esattamente seguendo la rotta desiderata. In caso contrario, il timoniere poteva correggere la direzione seguendo l’indicazione dello strumento.

Figura 6: il sistema d’antenna sul ponte dell’Elettra, utilizzato per i primi esperimenti di radionavigazione

Dagli esperimenti di Marconi ai nostri giorni

Nei settanta anni trascorsi dagli esperimenti di Marconi a Sestri Levante la radionavigazione ha vissuto un’evoluzione continua, pervadendo sempre più tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana.
Dai primi sistemi terrestri, basati sul principio del “Radio Direction Finding” (RDF), si passò, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale ai sistemi cosiddetti “iperbolici”, quali il Loran-A, poi seguito dai sistemi Decca, Omega e Loran-C.
La necessità di sistemi a copertura globale ed in grado di fornire accuratezze di localizzazione sempre più spinte ha portato, negli anni ’70, allo sviluppo del primo sistema di navigazione satellitare globale ed in grado di fornire un servizio continuo nel tempo, l’americano “Navstar Global Positioning System (GPS)” (un precedente sistema satellitare, il TRANSIT, sviluppato nel 1962 dalla John Hopkins University e dalla U.S. Navy, aveva caratteristiche molto inferiori ed è stato spento nel 1997), poi seguito dal russo “GLobal Orbiting Navigation Satellite System (GLONASS)”.
Si tratta di due reti militari, composte ciascuna di una costellazione nominale di 24 satelliti operativi, che trasmettono segnali radio dalla loro orbita a circa 20 mila chilometri di altezza.
Nonostante le loro origini militari, sia per il GPS sia per il GLONASS erano previste anche applicazioni civili. Di fatto l'uso non militare dei sistemi si è sviluppato ben oltre quelle che erano le previsioni originali. E' stato stimato che, su dieci nuovi ricevitori di navigazione satellitare attualmente venduti, ben nove sono destinati ad usi civili e commerciali. L’ uso di questi apparecchi a bordo delle automobili sta diventando altrettanto diffuso di quello dell' autoradio.
I benefici della navigazione satellitare sono enormi. Per la comunità aeronautica ad esempio la sua introduzione è destinata ad essere altrettanto rivoluzionaria di quella del motore a reazione
Le ricadute della navigazione satellitare sono molto importanti anche in altre aree, quali ad esempio la navigazione marittima, i trasporti ferroviari, le telecomunicazioni, la gestione dei disastri naturali, il soccorso in caso di emergenza e l’assistenza ai disabili ed agli anziani. Esse miglioreranno il modo in cui viviamo e svolgiamo le nostre attività, in sintesi, la qualità della nostra vita.
E’ per questo che in Europa si sta realizzando Galileo (figura 7), un sistema di navigazione satellitare a copertura globale, concepito per scopi essenzialmente civili. Galileo rappresenterà non solo l’indipendenza nel campo della gestione del traffico e delle infrastrutture telematiche, ma porterà anche ampi benefici all’industria manifatturiera e dei servizi, creando nuove opportunità di lavoro in settori ad alta tecnologia.

Figura 7: il sistema europeo di navigazione satellitare Galileo

mercoledì 10 dicembre 2008

Arthur C. Clarke: il padre della televisione via satellite


Sessantatre anni fa, Arthur C. Clarke, un allora oscuro tecnico radar della RAF, membro della British Interplanetary Society (un’associazione di sognatori appassionati di fantascienza e di voli spaziali), inviò all’editore della rivista inglese Wireless World una lettera intitolata “Peacetime Uses for V2” (“Usi pacifici della V2”). Era il 1945 e l’Inghilterra era appena uscita dal secondo conflitto mondiale, durante il quale i missili tedeschi V2 avevano costituito l’incubo delle popolazioni civili. La lettera anticipava in modo semplice e chiaro la possibilità di utilizzare la tecnologia missilistica per mettere satelliti in orbita intorno alla Terra, già preconizzando satelliti in orbita geostazionaria per applicazioni di telecomunicazione:
“ Vorrei concludere menzionando una possibilità per un futuro più remoto (forse fra cinquanta anni). Un satellite artificiale alla corretta distanza dalla Terra compierebbe una rivoluzione ogni 24 ore, rimarrebbe cioè stazionario sopra la stessa posizione ed in grado di coprire quasi metà della superficie terrestre. Tre stazioni ripetitrici a bordo di rispettivi satellite, spaziate di 120 gradi sulla corretta orbita, potrebbero quindi distribuire televisione e comunicazioni a frequenze microonde all’intero pianeta.”
Queste poche righe possono oggi sembrarci ovvie e banali. Vale la pena riflettere, tuttavia, sul fatto che esse furono scritte tredici anni prima del lancio del primo satellite artificiale, Sputnik 1.
In seguito Clarke scrisse un articolo molto più dettagliato che intitolò “The Future of World Communications”. L’editore di Wireless World lo pubblicò nel numero di ottobre 1945 cambiandone il titolo in “Extra-Terrestrial Relays”. Tutto il resto, si potrebbe dire, è storia. Ai nostri giorni, ci sono più di 300 satelliti operativi in orbita geostazionaria ed i loro servizi pervadono la nostra vita quotidiana, dalle telecomunicazioni digitali alle previsioni meteorologiche ed alle trasmissioni televisive.
C’è quanto basta per rendere un uomo famoso ed iscriverlo nel libro della Storia. Arthur C. Clarke, tuttavia, oltre a tante opere letterarie e di divulgazione scientifica, rimarrà anche famoso per averci regalato, insieme ad un altro genio, il regista Stanley Kubrik, un sogno sul futuro dell’umanità che fa ormai parte del nostro immaginario collettivo: quello descritto nel film “2001: odissea nello spazio” (figura 1).

Figura 1: il “poster” del film “2001: odissea nello spazio”

Da “cadetto dello spazio” ad ufficiale della RAF
Arthur Charles Clarke era nato il 16 dicembre 1917 nella cittadina marittima di Minehead, nel Somerset. Sin da bambino era affascinato dalla vista del cielo stellato e si appassionò alla lettura di racconti di fantascienza. Rimasto orfano di padre all’età di quattordici anni, non potè frequentare l’università per motivi economici, ma continuò a perseguire la sua passione per gli studi scientifici. La sua abitazione divenne la sede di fatto della British Interplanetary Society, della quale Clarke divenne “chairman” nel 1949. Vale la pena dire qualcosa in più su questa associazione. La British Interplanetary Society fu fondata nel 1933 ed è la più antica associazione dedicata allo sviluppo delle esplorazioni spaziali. I suoi spesso giovanissimi membri si chiamavano tra loro “space cadets” (“cadetti dello spazio”) e discutevano animatamente e con velleità tecnico-scientifica di imprese che al tempo suonavano come romantiche e visionarie, quali lo sbarco dell’uomo sulla Luna e l’esplorazione del sistema solare. Non era peraltro l’unica società di questo tipo: negli stessi anni fu fondata in Germania la Verein für Raumschiffahrt (Società dei voli spaziali) che si ispirava al lavoro di Hermann Oberth (uno dei padri della missilistica, insieme al russo Konstantin Tsiolkovsky e all'americano Robert Goddard) e contò fra i suoi membri personaggi come Wernher von Braun.
Durante gli anni della guerra, dal 1941 al 1945, Clarke lavorò come specialista radar nella Royal Air Force, congedandosi con il grado di ufficiale. Egli si dedicò soprattutto allo sviluppo del cosiddetto Ground Controlled Approach (GCA) Radar, antesignano dell’ILS (Instrument Landing System), un sistema di terra e di bordo ideato per guidare gli aeromobili nella fase finale di un avvicinamento strumentale di precisione verso la pista di un aeroporto. Si riferisce a quegli anni ed allo sviluppo del GCA il libro parzialmente autobiografico Glide Path, l’unico romanzo non di fantascienza scritto da Clarke.

Un’invenzione da brevettare
Dopo la guerra, Clarke potè riprendere gli studi interrotti. Si iscrisse al King’s College di Londra dove si laureò con lode in Fisica e Matematica nel 1948.
E’ di questi anni, come si è già detto, l’idea che gli avrebbe garantito da sola fama e notorietà in ambito scientifico, ottenendogli fra l’altro riconoscimenti prestigiosi, quali la Marconi International Fellowship nel 1982, una medaglia d’oro del Franklin Institute, la Vikram Sarabhai Professorship del Physical Research Laboratory di Ahmedabad, il Lindbergh Award ed una Fellowship del King's College di Londra, sua “alma mater”. Inoltre l’orbita geostazionaria, a 36 mila chilometri sopra l’Equatore, è stata ufficialmente nominata “Orbita di Clarke” dalla International Astronomical Union.
Nella sua prima lettera all’editore di Wireless World (figura 5) Clarke, oltre a preconizzare l’utilizzo di missili per mettere in orbita satelliti artificiali (lo ricordiamo: era il 1945; il primo Sputnik sarebbe stato lanciato nel 1957), propose per la prima volta l’uso di satelliti in orbita geostazionaria come “ponti radio” nello spazio. Una costellazione composta da un minimo di tre satelliti di questo tipo avrebbe addirittura garantito le comunicazioni su tutta la superficie terrestre (figura 2).


Figura 2: la costellazione di Clarke

L’idea fu perfezionata e dettagliata nel successivo articolo dell’ottobre 1945 (figura 6). In esso, con considerazioni tecniche semplici, ma ineccepibili ed esaustive, Clarke descriveva tutte le caratteristiche ed i vantaggi di un sistema di telecomunicazione basato su satelliti geostazionari
L’orbita geostazionaria è quella nella quale il satellite è sempre nella stessa posizione rispetto alla Terra che ruota su se stessa. Il satellite viaggia su un’orbita circolare ad un’altezza di circa 35790 chilometri, alla quale corrisponde un periodo orbitale (cioè il tempo necessario a percorrere un’orbita completa) uguale al periodo di rotazione della Terra su se stessa (che è di 23 ore, 56 minuti e 4,09 secondi). Ruotando con la stessa velocità angolare e nello stesso senso di rotazione della Terra, il satellite appare stazionario (cioè sincrono rispetto alla rotazione della Terra) (figura 3).


Figura 3: il principio dell’orbita geostazionaria

I satelliti geostazionari sono particolarmente utili nelle telecomunicazioni, in particolare quelle verso utenti fissi (comunicazioni punto-punto, broadcasting televisivo), perché permettono l’utilizzo di antenne semplici, che non richiedono un ripuntamento continuo verso il satellite (quali sono tutte le parabole televisive ormai tanto diffuse anche nel nostro paese).
Poiché un’orbita geostazionaria, per essere tale, deve giacere nello stesso piano al quale appartiene l’Equatore, ne risulta che il satellite sarà visto allo zenith di stazioni situate nelle zone equatoriali e tropicali, con angoli di elevazione sempre più bassi mano a mano che ci si avvicina ai poli. Nelle zone polari e subpolari un satellite geostazionario è in realtà irricevibile, in quanto un’eventuale antenna di terra dovrebbe essere puntata sotto la linea dell’orizzonte.
Orbite geostazionarie vengono anche utilizzate da satelliti per l’osservazione terrestre, in particolare quelli meteorologici. Questo perché a 36000 chilometri di distanza si ha una vista d’insieme di circa un terzo della superficie terrestre (oceani e terre emerse), utile per determinare l’evoluzione di cicloni, uragani ed altri grandi fenomeni atmosferici. Un esempio molto noto di satellite meteorologico geostazionario è costituito dal satellite Meteosat, quello che ci fornisce le belle immagini commentate durante i telegiornali al momento delle previsioni del tempo. Il satellite Meteosat, costruito in una numerosa serie di esemplari, è stato progettato e realizzato da un team di industrie europee coordinato dall’ ESA (European Space Agency), tra le quali l’industria spaziale italiana ha un ruolo primario (essendo responsabile, fra l’altro, di tutte le antenne del satellite).
E’ a questo punto doveroso ricordare il contributo dello stesso Clarke all’utilizzo dei satelliti per l’osservazione meteorologica. Nel 1954, quasi dieci anni dopo la pubblicazione del suo storico articolo su Wireless World, Clarke, ormai conosciuto a livello mondiale come un esperto del settore, intesse una corrispondenza con il Dr. Harry Wexler (allora responsabile della Scientific Services Division, US Weather Bureau), che portò allo sviluppo di una nuova branca della meteorologia, basata sull’utilizzo di razzi e satelliti artificiali.
Ritornando a parlare di orbita geostazionaria, abbiamo già accennato alle sue positive caratteristiche. Dalla sua quota di 36000 chilometri (pari a circa 6 volte il raggio terrestre) un satellite geostazionario vede circa un terzo della superficie terrestre (da circa 75 gradi di latitudine Sud a circa 75 gradi di latitudine Nord).
Come teoricamente predetto da Arthur Clarke, è quindi possibile con un minimo di 3 satelliti geostazionari spaziati di circa 120 gradi offrire un servizio di telecomunicazione praticamente globale. La cosiddetta costellazione geostazionaria ha costituito la fortuna dell’organizzazione internazionale Intelsat (da alcuni anni privatizzata), che ha dominato la scena delle telecomunicazioni commerciali negli ultimi quaranta anni.
Anche l’orbita geostazionaria presenta tuttavia alcuni svantaggi. Innanzi tutto, a causa dell’elevata distanza dalla superficie terrestre, il costo del lancio è per un satellite geostazionario molto elevato e richiede lanciatori di alta classe (quale il razzo multistadio europeo Arianne).
Sempre l’elevata distanza comporta un notevole ritardo di propagazione delle onde radio (circa 0,12 secondi per singola tratta), che è al limite dell’accettabilità durante una conversazione telefonica. Il ritardo di propagazione cessa di essere un problema nel caso di diffusione (“broadcasting”) televisiva, come dimostrato dal successo mondiale della televisione via satellite.
Pensando a questo successo, ai milioni di “parabole” montate sulle abitazioni di tutti i paesi del mondo (anche quelli più poveri e sperduti), Arthur Clarke ha dichiarato molte volte di essersi pentito per aver svenduto un’idea che si sarebbe sviluppata in un affare da molte migliaia di miliardi l’anno e che, se brevettata, lo avrebbe probabilmente reso l’uomo più ricco del mondo.

Baronetto, maestro della fantascienza e…inventore di Internet?
Per molti Arthur Clarke, prima ancora che per il suo contributo alla storia delle telecomunicazioni, è noto per i suoi romanzi ed i suoi numerosi racconti, che hanno assurto la fantascienza a genere letterario di tutto rispetto.
Pur essendo dichiaratamente ateo, la sua letteratura è tutta pervasa da un mistico rispetto di fronte ai misteri dell’Universo ed al destino dell’uomo, sia come individuo che come specie.
Nella sceneggiatura del film capolavoro “2001: odissea nello spazio”, scritta a quattro mani con il regista Stanley Kubrik ed ispirata al racconto “La sentinella” (“The sentinel”) del 1948, attraverso un’avvincente evoluzione di immagini indimenticabili, Clarke riuscì a delineare l’evoluzione dell’umanità dall’antropoide intelligente al “Bambino delle stelle” (“Star Child”), prospettando un futuro di continuo approfondimento quantitativo e qualitativo della conoscenza umana.
In tutte le sue opere, con uno stile accattivante, ma al contempo scientificamente documentato e convincente, sono stati trattati temi fondamentali, sia in ambito scientifico che sociologico: l’esplorazione spaziale, l’incontro con culture aliene, i rapporti fra uomini e macchine, i viaggi nello spazio e nel tempo, l’allungamento della vita umana, l’evoluzione della specie e della società.
Innumerevoli, oltre a quelli già citati, i premi ed i riconoscimenti tributatigli per la sua attività di scrittore, di divulgatore scientifico, di futurologo e, come abbiamo visto, di scienziato.
Nel 2000, fra l’altro, ricevette dal principe Carlo d’Inghilterra il titolo onorifico di Baronetto (“Knight Bachelor”) per i suoi meriti letterari (e che dire di quelli scientifici?).
C’è tuttavia un riconoscimento che ancora non è stato ufficialmente riconosciuto a Sir Arthur C. Clarke: quello di inventore “ante litteram” di Internet e del World Wide Web (Tim Berners-Lee non ci voglia alcun male). Come recentemente sostenuto dallo stesso Clarke in una lettera ad una rivista dello IEEE (“Institute of Electrical and Electronic Engineers”) e modestamente fatto notare da chi scrive alcuni anni prima, nell’ormai lontano 1963 egli pubblicò un racconto breve intitolato “Chiamata per l’homo sapiens” (“Dial F for Frankstein”, nella versione originale inglese). In questo scritto Clarke paventava, con intuizione quasi visionaria, un non lontano futuro nel quale per la prima volta tutti i calcolatori del mondo sarebbero stati connessi tra loro attraverso la rete telefonica; si sarebbe così venuta a creare un’enorme mente artificiale planetaria, che non avrebbe tardato a dare dimostrazione dei suoi poteri.
L’incubo futuristico di Clarke si è realizzato ai nostri giorni, anche se in forme e modalità imprevedibili, trascendenti anche la più fervida immaginazione.

L’ultima orbita intorno al Sole
Quando Arthur Clarke, nel 2007, compì i suoi novanta anni, in un suo messaggio di ringraziamento per gli auguri ricevuti da tutto il mondo, egli ironizzò sulla sua venerabile età, dicendo che non aveva fatto altro che compiere novanta orbite intorno al Sole.
Aveva intrapreso la sua novantunesima orbita, quando, il 18 marzo 2008, morì.