Un doveroso ringraziamento ai nostri "ispiratori"

Si sente a volte la necessità (direi quasi il dovere) di condividere le proprie esperienze, conoscenze e passioni.
Nell'ambito della scienza e della tecnica si è sempre ben consci della propria ignoranza, ma si avverte al tempo stesso l'importanza di comunicare quanto si conosce agli altri, soprattutto ai più giovani e meno esperti.
La cosa più importante poi non risiede in quelle poche schegge di esperienza che si riescono a condividere, quanto nella passione che ci ha permesso di acquisirle.
Trasmettere una scintilla di quella passione è tanto difficile quanto fondamentale.
Ognuno di noi ha avuto uno o più ispiratori che ci hanno istradato lungo il cammino di un "hobby" o di una professione.
Io dovrei ricordare l'amico conosciuto al mare che mi disegnò su un foglio di carta da lettera (che ancora conservo) lo schema e le istruzioni per costruire la mia prima radio "a galena" (in realtà utilizzava un bel diodo al germanio OA81 che ancora conservo gelosamente) e tanti, tanti altri, amici, conoscenti e colleghi, che hanno segnato la mia vita fornendomi idee ed ispirazione.

Non posso tuttavia non menzionare particolarmente un signore che, pur non avendolo io mai incontrato, ha influenzato più di tutti la mia vita e che rimane tuttora un riferimento ed un modello ideali: Guglielmo Marconi.

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

Guglielmo Marconi, padre della radio e primo radioamatore

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domenica 12 aprile 2009

LE ANTENNE A BORDO DEI SATELLITI


Le antenne per la ricezione delle trasmissioni televisive trasmesse da satellite stanno diventando sempre più popolari e diffuse, facendo bella mostra di sé sui balconi ed i tetti delle nostre abitazioni. Anche il loro costo è diventato molto “popolare”, tanto che una “parabola” di diametro inferiore al metro, completa di illuminatore (“feed”), amplificatore a bassa cifra di rumore e meccanica di montaggio può essere facilmente acquistata per poche decine di euro.
La diffusione della televisione satellitare ha così il merito di aver reso familiare a molti la tecnologia delle antenne a riflettore, che tanto banale poi non è, visto che opera a più di 10 GHz (banda Ku).
Ma se le antenne satellitari di terra sono più o meno familiari a tutti, tanto da fare ormai parte della lista dei nostri elettrodomestici, molto meno note sono le loro parenti nobili, cioè le antenne montate a bordo dei satelliti, che pure ad esse in qualche modo assomigliano.
Il presente articolo si propone pertanto di fornire una panoramica delle antenne dei satelliti, anche dette antenne “di bordo”, descrivendone in termini semplici le configurazioni, le caratteristiche e le tecnologie.


Alcuni concetti di base: guadagno direttivo e principio di reciprocità

Prima di addentrarci nel complesso mondo delle antenne di bordo, varrà la pena di chiarire alcuni concetti di base sulle antenne in genere.
Cominciamo con la definizione, spesso fraintesa, di guadagno d’antenna, dissipando un dubbio molto diffuso: il guadagno di un’antenna è qualcosa di fondamentalmente diverso dal guadagno di un amplificatore.
In un amplificatore (audio o RF che sia) si converte la potenza in continua, fornita da un alimentatore, in potenza del segnale d’uscita. Dovendosi come sempre rispettare la legge di conservazione dell’energia, questa conversione avviene con efficienza inferiore al 100 per cento.
In un’antenna, che è un componente notoriamente passivo (ci sono anche antenne cosiddette “attive”, ma per il momento non facciamo confusione), non si ha alcuna conversione di potenza in continua fornita da un alimentatore e sembrerebbe quindi che parlare di guadagno equivalga ad ammettere la creazione di potenza, negata dalle leggi della fisica.
In realtà il guadagno di un’antenna (sarebbe più corretto parlare di “direttività” o di “guadagno direttivo”) non si riferisce ad alcun processo di conversione, ma piuttosto alla capacità dell’antenna di concentrare in una specifica direzione la potenza da essa irradiata.
Si fa anzi riferimento alla definizione di antenna isotropica (parola quest’ultima derivante dal greco antico), cioè di un’antenna che irradia in modo uniforme in tutte le direzioni ed il cui guadagno è per definizione uguale a 1 (cioè zero dB); il guadagno direttivo di un’antenna o guadagno rispetto all’isotropica, è quindi, come già spiegato, una misura della capacità dell’antenna di concentrare la potenza irradiata, riferita al caso ideale in cui l’antenna irradia uniformemente in tutte le direzioni.
Si è parlato di caso ideale perché in realtà l’antenna isotropica è un concetto essenzialmente matematico, difficilmente realizzabile in pratica.
Volendoci aiutare con un paragone, potremmo immaginare l’antenna isotropica come una lampadina che, appesa ad un filo al centro di una stanza, illumina in modo uniforme tutte le pareti; l’antenna direttiva per contro è come una torcia elettrica che generi un pennello di luce ad alta intensità, in grado di illuminare aree piccole ma molto distanti.
Il guadagno direttivo di un’antenna viene espresso normalmente in dBi (dove la lettera “i” ricorda appunto il confronto rispetto all’antenna isotropica) ed è calcolato attraverso la formula seguente:


G = (4 x pigreco x Aequ.) / l^2


dove pigreco è il buon vecchio 3,14 di scolastica memoria, l (lambda) è la lunghezza d’onda del segnale radio e Aequ. è l’area equivalente dell’antenna (Nota Bene: per avere il guadagno in dBi bisogna fare il logaritmo in base 10 di G e moltiplicare per 10).
Il concetto di area equivalente di un’antenna non è di immediata comprensione, soprattutto se riferito ad antenne che non hanno un’area fisica propriamente definita (si pensi a tutte le antenne filari, ai dipoli o alle Yagi). Semplificando un poco le cose, si potrebbe dire che l’area equivalente di un’antenna è l’area fisica che dovrebbe avere un’antenna a riflettore per fornire un guadagno uguale a quello dell’antenna considerata.
In conclusione, il guadagno è una misura dell’abilità dell’antenna di focalizzare le onde radio in una particolare direzione. Per un’antenna a bordo di un satellite, le onde radio dovrebbero essere dirette in modo tale da “coprire” una particolare area geografica (una nazione o un gruppo di nazioni).
Il principio di reciprocità, di fondamentale importanza nella teoria e nella pratica delle antenne, afferma semplicemente che le caratteristiche di un’antenna passiva (cioè priva di componenti attivi in essa integrati, quali amplificatori di potenza o a bassa cifra di rumore) sono le stesse sia che l’antenna stessa funzioni come ricevente che come trasmittente. Questo principio permette, ad esempio, di progettare le antenne come trasmittenti e di misurarle invece in modalità ricevente, indipendentemente dall’effettivo utilizzo che esse avranno a bordo del satellite.


La polarizzazione e la “cross”-polarizzazione di un’antenna

Il campo elettrico, E, e quello magnetico, H, generati ad una certa distanza da un’antenna trasmittente (per il principio di reciprocità, le stesse considerazioni si applicano ad un’antenna ricevente), sono ortogonali fra loro e si propagano nella direzione dell’onda elettromagnetica.



Nel caso di polarizzazione lineare, i due vettori si propagano senza ruotare e si parla di Polarizzazione Verticale “V” o di polarizzazione Orizzontale “H” (H sta per Horizontal), a seconda della direzione assunta dal campo elettrico E.
Nel caso invece di polarizzazione circolare, i due vettori, E ed H, ruotano intorno all’asse di propagazione dell’onda; a seconda del senso di rotazione, si parla di polarizzazione circolare destra (“RHCP”, cioè Right Hand Circular Polarization) o sinistra (“LHCP”, Left Hand Circular Polarization).Come nel caso della polarizzazione lineare, anche le polarizzazioni circolari destra e sinistra sono in qualche modo ortogonali, nel senso che possono coesistere senza influenzarsi a vicenda.



A bordo dei satelliti, si usa spesso la stessa antenna per ricevere in una polarizzazione (lineare o circolare) e per trasmettere in quella ortogonale.
Quanto detto finora si applica ad un’antenna ideale. Nella pratica, un’antenna non è in grado di discriminare in modo perfetto fra polarizzazioni ortogonali: ad esempio, ricevendo con un’antenna prevista per la polarizzazione verticale, si viene in realtà disturbati da un segnale alla stessa frequenza in polarizzazione orizzontale. Tale fenomeno viene misurato da un parametro dell’antenna chiamato “polarizzazione incrociata” (“Cross-Polarization”).


Diagrammi di radiazione ed aree di copertura

Il diagramma (“pattern”) di radiazione è una rappresentazione grafica del campo elettrico relativo trasmesso o ricevuto da un’antenna. I diagrammi di radiazione si riferiscono ad una frequenza e ad una polarizzazione. Anche se in teoria essi dovrebbero essere rappresentati da grafici tridimensionali, nella pratica si preferisce lavorare con grafici bidimensionali riferiti ad uno specifico piano (o “taglio”), che vengono presentati in forma polare o rettangolare, con la scala dell’intensità espressa in dB. I diagrammi sono normalizzati rispetto al valore massimo (cioè alla direttività o guadagno direttivo dell’antenna), che viene convenzionalmente posto uguale a zero dB.

L’area della Terra che il satellite può “vedere” (o meglio, raggiungere con le sue antenne) è chiamata “area di copertura” (“satellite footprint”). L’area di copertura può anche essere descritta come l’intersezione del diagramma di trasmissione dell’antenna di bordo con la superficie della Terra. Si possono a questo punto tracciare le cosiddette linee isoguadagno, ovvero linee che congiungono i punti della Terra verso i quali l’antenna trasmette (o riceve) con lo stesso guadagno. Molto spesso (soprattutto nel caso di satelliti per broadcasting televisivo) invece del guadagno si riporta sull’area di copertura la EIRP (“Effective Isotropic Radiated Power”), espressa in dBW, che è pari al valore in dB del prodotto fra il guadagno direttivo e la potenza del trasmettitore in watt (cioè alla somma del guadagno d’antenna in dBi e della potenza trasmessa in dBW).




Si parla di copertura “globale” quando il diagramma di radiazione dell’antenna di bordo copre la più larga porzione della Terra che può essere vista dal satellite. Per un satellite geostazionario, tale porzione è pari ad un terzo della superficie terrestre (sono infatti necessari almeno tre satelliti geostazionari per coprire tutta la Terra); la larghezza del fascio per una copertura globale è di circa 17,4 gradi.




Una copertura regionale è quella che illumina solo una specifica zona sulla superficie della Terra (un continente o un gruppo di stati). L’area illuminata può avere un contorno semplice, quale un cerchio od un ellisse, ovvero può cercare di seguire il contorno della regione geografica servita dal satellite, allo scopo di massimizzare il guadagno. Si parla in quest’ultimo caso di copertura contornata (“shaped”).
Si parla infine di copertura a “spot” (“spot beam coverage”) quando l’area illuminata dall’antenna è molto più piccola della copertura globale, con larghezze del fascio inferiori ai due gradi. I fasci “spot” hanno il vantaggio di concentrare l’energia dell’antenna su una piccola area e quindi (per la definizione di guadagno direttivo) forniscono un alto guadagno. Lo svantaggio consiste nel dover coprire una certa area geografica con un numero elevato di fasci (copertura multifascio, “multibeam coverage”) e nel dover provvedere all’interconnessione fra utenti eventualmente presenti in fasci differenti.


Si può stabilire una relazione fissa fra il guadagno direttivo di un’antenna e l’area di copertura, detta “prodotto area-guadagno”. Questo prodotto è una costante, in quanto ad una maggiore area di copertura (larghezza del fascio d’antenna) corrisponde un guadagno direttivo più basso, e viceversa.

Anatomia di un’antenna satellitare


A bordo dei satelliti vengono utilizzate antenne di vario tipo e tecnologia, a seconda dell’applicazione specifica e della frequenza di operazione.Per realizzare coperture regionali o “a spot” si utilizzano generalmente antenne a riflettore. In questo caso, i due principali elementi di un’antenna satellitare sono il riflettore e l’illuminatore (“feed”). Il riflettore può essere costituito da una superficie solida ovvero da una rete metallica (abbastanza fitta da apparire come “solida” alle onde elettromagnetiche). Il riflettore ha un contorno generalmente circolare o ellittico e la sua superficie tridimensionale fa parte di una superficie parabolica. Questo è il motivo per il quale si parla comunemente di antenne paraboliche o, più familiarmente, di “parabole”.

Nell’ambito delle antenne a riflettore, si possono adottare numerose configurazioni, tipicamente basate sull’utilizzo di uno o più sottoriflettori, cioè riflettori di dimensioni inferiori a quelle del riflettore principale, posti fra questo e l’illuminatore. Queste configurazioni “dual reflector” (le più importanti sono quella cosiddetta “Cassegrain” e quella cosiddetta “Gregorian”) rispondono sia ad esigenze di prestazione elettromagnetica che alla necessità di adattare la geometria dell’antenna alla configurazione meccanica del satellite.

L’illuminatore è quasi sempre costituito da un’antenna “a tromba” (“horn”), posta nel fuoco del riflettore parabolico.

Per ottenere coperture d’antenna “contornate”, si utilizzano illuminatori multipli, opportunamente alimentati dal segnale RF, oppure si modifica la superficie parabolica del riflettore in modo da “distorcere” il fascio dell’antenna (“shaped reflector antenna”).
Le antenne a tromba vengono utilizzate senza l’ausilio di un riflettore quando si vogliono realizzare fasci molto ampi (ad esempio, per coperture globali).Negli ultimi anni si sono diffuse anche a bordo dei satelliti le antenne a “phased-array” (in italiano si dovrebbe dire “a cortina di elementi fasati”).

Queste antenne si basano sul principio che alimentando un certo numero di elementi radianti semplici (ad esempio dipoli, trombe o antenne a microstriscia), con uno stesso segnale RF al quale, per ciascun elemento radiante, sono state opportunamente variate l’ampiezza e la fase, è possibile creare un fascio sagomato e puntarlo in una qualunque direzione dello spazio.
Il guadagno di un’antenna “phased-array” è, in prima approssimazione, pari a N volte il guadagno del singolo elemento radiante (N essendo il numero totale di elementi dell’antenna). Esprimendo il guadagno in dBi, si può scrivere:


GPhased-Array (dBi) = GSingolo Elemento (dBi) + 10 x log10 N


Una delle più recenti frontiere nel campo delle antenne satellitari è costituita dalle antenne dispiegabili di grandi dimensioni (“large deployable reflector antennas”. Si tratta di antenne i cui riflettori possono raggiungere un diametro di 18 metri. Tali riflettori, anche detti “ad ombrello”, si aprono in orbita attraverso un’intelaiatura snodabile; la loro superficie non è ovviamente rigida, bensì costituita da una specie di leggero “tessuto” di fili metallici dorati.

Antenne “ad ombrello” di grandi dimensioni sono già state utilizzate con successo in un certo numero di sistemi satellitari, tipicamente per comunicazioni verso utenti mobili in banda L (1,5 – 1,6 GHz), come i satelliti Thuraya ed Inmarsat 4.

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